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26 Lug 2019

I bivalvi mangiapietre

Marco Signore

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Gli appassionati di film sui mostri ricorderanno senza dubbio i Graboid, i giganteschi “vermi” della serie Tremors, e – purtroppo per i fan di Tolkien – anche i vermi che scavano nelle Montagne Nebbiose visibili durante il terzo film de Lo Hobbit. Di fatto, scavare nella roccia non è una cosa semplicissima, ma diversi animali sono in grado di farlo.

Gli appassionati di film sui mostri ricorderanno senza dubbio i Graboid, i giganteschi “vermi” della serie Tremors, e – purtroppo per i fan di Tolkien – anche i vermi che scavano nelle Montagne Nebbiose visibili durante il terzo film de Lo Hobbit. Di fatto, scavare nella roccia non è una cosa semplicissima, ma diversi animali sono in grado di farlo. Così, se vi siete mai chiesti perché trovate lungo la spiaggia quei ciottoli pieni di buchi, la risposta è che un genere di spugna, la Cliona, è capace di creare tali affascinanti “opere d’arte”. Anche il dattero di mare, un bivalve, e alcune specie di ricci di mare possono scavare lentamente nella roccia. Tuttavia, un conto è scavare e l’altro è mangiare: animali che mangiano roccia non erano ancora stati descritti sul nostro pianeta, anche se ricorderete qualcosa di simile nell’affascinante libro di Ende, La Storia Infinita. Eppure l’evoluzione non smette mai di sorprenderci: come stiamo per vedere, anche sulla Terra ci sono organismi capaci di mangiare le pietre… o almeno di provarci!

 

Il flagello delle navi

 

Per trovare questi animali, dobbiamo spostarci verso il mare e guardare con attenzione i detriti che lo solcano. Tra i quintali, ahinoi, di plastica che circolano negli oceani, ci sono anche moltissimi detriti di legno: rami, pezzi di tronco, persino interi alberi possono cadere in acqua ed essere trasportati per molto tempo (abbiamo addirittura evidenze fossili di tali eventi). Non deve dunque meravigliarci che diverse specie di bivalvi si siano evolute per sfruttare questa eccellente miniera di cibo: ecco a voi la Teredo navalis e i suoi parenti, bivalvi adattati a scavare gallerie nel legno galleggiante, nutrendosi dei contenuti. Teredo, dalla forma di verme, ha ridotto la conchiglia a due piccole schegge che usa per scalfire il legno e nel suo apparato digerente dimorano dei batteri simbionti che producono enzimi in grado di digerire la cellulosa. Naturalmente, questo abitante dei mari caldi ha conosciuto un’espansione immensa quando i primi navigatori occidentali sono arrivati nelle Americhe: con la possibilità di attaccare e danneggiare gravemente le chiglie di legno dei natanti, la Teredo diventa uno dei più terribili pericoli per la navigazione oceanica. A poco servono i rimedi inventati in fretta dai navigatori, tra cui il rivestire le chiglie in rame: a tutt’oggi nessun rimedio efficace è stato trovato e, anzi, questo bivalve si è diffuso rapidamente in tutti i mari caldi e temperati. Nel 1920 riuscì a devastare completamente il porto e le navi di San Francisco e resta ancora un problema rilevante per qualsiasi struttura lignea marina. Esistono molte specie di tali bivalvi: Teredo è solo uno dei generi conosciuti, e le tracce di questi animali, chiamate Teredolites, sono noti almeno dal Cretaceo. Attualmente il più grande rappresentante del gruppo è Kuphus polythalamius, che vive nel legno solo da giovane, mentre da adulto si infossa in sedimenti anossici e vive grazie alla chemiosimbiosi, cioè legandosi con batteri che possono fornire energia tramite processi chimici.

 

Da legno a pietre

 

Ancor più sorprendente, però, è che un bivalve dello stesso gruppo sia riuscito a migrare in acque dolci e cambiare regime alimentare. Lithoredo abatanica, un nuovo rappresentante di questo incredibile gruppo di bivalvi, recentemente descritto dalle Filippine, abita in gallerie scavate nel calcare ed è stato dimostrato che ingerisce roccia sminuzzata. Questo non significa che l’animale tragga nutrimento dalle rocce. In effetti sembra che Lithoredo abbia diversi adattamenti per ingerire plancton ed è possibile, quindi, che la roccia sminuzzata che inghiotte possa servire più come aiuto a digerire batteri e alghe che come alimento o che si nutra delle alghe che crescono sul calcare o, ancora, che dipenda almeno in parte dalla simbiosi con batteri trovati nelle sue branchie. Sta di fatto che abbiamo di fronte un nuovo tassello dell’incredibile adattabilità dei molluschi, sicuramente tra gli animali di maggior successo della storia dell’evoluzione.

 

Immagine di copertina: esemplare di Teredo estratto dal legno di una mangrovia vicino a Joanes, Marajo island, Brasilia. Credits: Deplewsk [CC BY-SA 3.0]

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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