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10 Dic 2020

Lucertole adattabili: come sopravvivere a fenomeni estremi

Marco Signore

Marco Signore
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Il riscaldamento globale causato dalle attività umane produce cambiamenti climatici su scala sempre più vasta e con effetti sempre più estremi. Naturalmente, gli organismi hanno le loro difficoltà in questa drammatica contingenza, e molti animali e piante soffrono devastanti conseguenze che sempre più spesso portano all’estinzione. Basti pensare al fenomeno dello sbiancamento dei coralli, oppure all’acidificazione delle acque degli oceani, che causa danni a cascata nel plancton e quindi negli animali che se ne cibano.
Neppure gli esseri umani, di fatto, sono al sicuro dai danni che essi stessi causano all’ambiente: le alluvioni, le frane, e tutti gli altri fenomeni legati al dissesto idrogeologico ne sono una prova, così come i giganteschi e sempre più frequenti incendi senza controllo. Insomma, trovare soluzioni ai sempre più gravi problemi sta diventando davvero difficile. Eppure, per parafrasare il caosologo Ian Malcolm del romanzo Jurassic Park, «la vita trova sempre una strada».
Investigare i cambiamenti in risposta a eventi estremi non è semplice, e alcune teorie sostengono che eventi di selezione estrema ma su scala temporale relativamente contenuta non hanno effetti evolutivi a lungo termine visibili sulle specie; in altre parole, un fenomeno che provoca cambiamenti ma che si verifica su scale temporali brevi, come appunto i cambiamenti del clima causati dall’uomo, non dovrebbe influenzare l’evoluzione a lungo termine di una specie. Studiare questi fenomeni richiede due premesse difficili da valutare, e cioè che effettivamente gli eventi studiati provochino una selezione forte sulle specie, e che le risposte eventuali abbiano effettivamente un impatto “misurabile” sull’evoluzione della specie. Insomma, è una cosa molto, molto difficile.

 

Studiare lo spazio e il tempo

Una soluzione a questo problema può essere quella di studiare i cambiamenti non solo lungo la linea temporale, ma anche nello spazio: in pratica, se è vero che un evento provoca cambiamenti, si vanno a investigare le popolazioni che vivono nelle aree in cui quell’evento è più frequente. È quello che ha fatto un numeroso gruppo internazionale di studiosi, cercando eventuali risposte all’aumento della frequenza e della violenza degli uragani in alcune isole dei Caraibi. Lo studio, pubblicato su PNAS il 28 novembre scorso, ha dimostrato una interessante risposta di alcuni animali a questi fenomeni estremi; in particolare, la risposta di due specie del genere Anolis, lucertole piuttosto comuni nell’area neotropicale.

 

Più aderenza, meno voli

Gli scienziati hanno analizzato le popolazioni di queste lucertole, dimostrando che gli individui in zone colpite abitualmente da uragani hanno cuscinetti sulle dita più sviluppati rispetto agli esemplari non soggetti alla violenza degli elementi. I cuscinetti digitali servono agli Anolis per mantenere meglio la presa sugli alberi ed evitare quindi di essere spazzati via dalla tempesta.
Ma c’è di più: questo studio ha trovato che gli eventi estremi rappresentano un motore della diversificazione di tali lucertole nei loro habitat.
Naturalmente simili risultati aprono più ampie vie di ricerca sull’ecologia degli organismi nell’Antropocene, e dimostrano che effettivamente Ian Malcolm aveva ragione, pur essendo solo il personaggio di un libro (libro decisamente ben scritto).

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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