C’era una volta il lago d’Aral, in Asia centrale, un tempo uno dei più estesi specchi di acqua del nostro pianeta, una risorsa che permetteva ai piccoli centri limitrofi di vivere di pesca. Fino a quando i suoi due affluenti non sono stati deviati e questo bacino non ha iniziato a evaporare, arrivando quasi a scomparire. È la storia di uno dei peggiori disastri ambientali la cui fine, forse, potrebbe essere meno tragica di quanto possiamo immaginare.
C’era una volta il lago d’Aral, in Asia centrale, un tempo uno dei più estesi specchi di acqua del nostro pianeta, una risorsa che permetteva ai piccoli centri limitrofi di vivere di pesca. Fino a quando i suoi due affluenti non sono stati deviati e questo bacino non ha iniziato a evaporare, arrivando quasi a scomparire. È la storia di uno dei peggiori disastri ambientali la cui fine, forse, potrebbe essere meno tragica di quanto possiamo immaginare.
Salvare il lago d’Aral
Il lago d’Aral – detto anche mare d’Aral – è situato tra i territori dell’Uzbekistan e del Kazakistan. In origine possedeva due immissari, l’Amu Darya e il Syr Darya, la sua superficie raggiungeva i 68.000 km2 e assicurava un buon approvvigionamento di pesce agli abitanti delle zone vicine: si poteva contare su venti specie native e una produzione che, al suo picco, nel 1947, rappresentava circa il 13% della fornitura di quella che era l’Unione Sovietica. È proprio l’ex-URSS ad aver premuto il grilletto in questa grande tragedia ecologica. Negli anni ‘60 la politica agricola dello Stato federale stava mutando e, per favorire la coltura intensiva del cotone, l’acqua dei due fiumi che alimentavano il lago fu deviata per essere utilizzata nei canali di irrigazione per le nuove coltivazioni. Le conseguenze furono drammatiche: il lago iniziò a ritirarsi fino a raggiungere, nel 2007, il 10% della sua dimensione d’origine. L’economia delle città costiere crollò e nacquero forti disagi legati al disseccamento del letto lacustre quali la diffusione, per l’azione del vento, di sali e sostanze tossiche che raggiunsero le aree abitate, provocando problemi di natura sanitaria.
Il recupero
Un seme di speranza in una situazione così critica è giunto da un progetto in massima parte finanziato dalla Banca Mondiale: circa 86 milioni di dollari per riparare gli argini esistenti, evitando così ulteriori perdite di acqua, e soprattutto, per la costruzione di una diga a sud del fiume Syr Darya. Tutto questo per cercare di aumentare il livello delle acque nel Piccolo Aral, la parte del lago rimasta a nord, nel territorio kazaco. La diga, chiamata Kokaral, è stata completata nel 2005 e i risultati ottenuti sembrano aver superato le aspettative: dopo soli sette mesi il livello si è innalzato di circa 3 metri e i pesci sono tornati a popolare quell’habitat per la gioia delle comunità locali.
Prospettive per il futuro
Dopo la costruzione della diga Kokaral, la salinità è diminuita da 30 grammi a 8 grammi per litro, inducendo così il ritorno di circa due dozzine di specie attraverso l’immissario Syr Darya. Nel 2016, sono state pescate 7.106 tonnellate di pesce tra cui figuravano pagelli, lucci e rutili. Quali potrebbero essere le prospettive per il futuro del lago d’Aral? La ripresa, purtroppo, è stata portatrice anche di aspetti negativi come la pesca illegale nei periodi di riproduzione. Sembra sia prevista una seconda fase di modifica della diga per aumentare ulteriormente la portata del bacino ma il progetto deve essere ancora approvato.
Un altro geosito è il protagonista dell’articolo “La lunga storia delle Dolomiti”, scritto da Alina Polonia e corredato dai meravigliosi scatti di Fabiano Ventura e Sarah Gainsforth, che potrete acquistare e leggere sul numero di febbraio 2018 di Sapere.
Immagine di copertina: lago d’Aral nel 1989 (a sinistra) e nel 2014 (a destra). Credits: NASA, via Wikimedia Commons