Il funzionamento della memoria ci continua ad affascinare: è costituito da meccanismi che adoperiamo nella vita quotidiana e che, la maggior parte delle volte, desidereremmo migliorare. Ci aspettiamo che la conoscenza di questi processi ci aiuti non solo a potenziare le nostre prestazioni cognitive ma anche a trovare terapie per patologie come l’Alzheimer. Negli ultimi anni gli scienziati hanno studiato in maniera approfondita come il cervello acquisisce e memorizza diversi tipi di informazioni e stanno giungendo a risultati curiosi e incoraggianti. Sembra, infatti, che esista un legame tra memoria e navigazione. Questa non è una connessione del tutto nuova ma, trovarne le prove, apre le porte a nuove sperimentazioni e applicazioni. Ne ha parlato Jordana Cepelewicz su Quanta Magazine.
Il funzionamento della memoria ci continua ad affascinare: è costituito da meccanismi che adoperiamo nella vita quotidiana e che, la maggior parte delle volte, desidereremmo migliorare. Ci aspettiamo che la conoscenza di questi processi ci aiuti non solo a potenziare le nostre prestazioni cognitive ma anche a trovare terapie per patologie come l’Alzheimer. Negli ultimi anni gli scienziati hanno studiato in maniera approfondita come il cervello acquisisce e memorizza diversi tipi di informazioni e stanno giungendo a risultati curiosi e incoraggianti. Sembra, infatti, che esista un legame tra memoria e navigazione. Questa non è una connessione del tutto nuova ma, trovarne le prove, apre le porte a nuove sperimentazioni e applicazioni. Ne ha parlato Jordana Cepelewicz su Quanta Magazine.
Il palazzo della memoria
Come accennavamo, l’idea di associare informazioni da ricordare a luoghi non è del tutto nuova: i retori greci e romani, per i loro lunghi discorsi, e Sherlock Holmes, l’investigatore ideato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, per riportare alla mente frasi e indizi, impiegavano quella che è definita la tecnica dei loci o palazzo della memoria. Alcuni di voi ne avranno già sentito parlare nel tentativo di perfezionare le proprie capacità mnemoniche in vista di un esame: gli elementi da ricordare vanno associati a luoghi fisici specifici, ad esempio le stanze di una casa. È un metodo piuttosto efficace, tanto da essere impiegato dai campioni della memorizzazione che si sfidano in competizioni a livello mondiale.
Esisteva, quindi, già l’intuizione che memoria e navigazione (determinare la posizione del punto di arrivo rispetto alla posizione in cui siamo, adoperando un qualche tipo di “mappa”) fossero in qualche modo collegati, che quest’ultima potesse guidare non solo in un ambiente fisico ma anche in uno psichico, astratto. Per iniziare a reperirne prove è stato necessario dotarsi di strumenti che potessero leggere in maniera più diretta le risposte del nostro cervello.
L’ippocampo e la cellule di posizione
Avevamo raccontato in un precedente articolo la storia del paziente H.M.: Henry Gustav Molaison soffriva di crisi epilettiche gravemente invalidanti e, negli anni ’50 del XX secolo, gli furono asportati i lobi temporali mediali in entrambi gli emisferi, comprese le aree contenenti l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia entorinale, per poterlo guarire. Il paziente perse la capacità di creare nuovi ricordi e questo effetto collaterale permise agli scienziati di comprendere quanto parti del cervello come l’ippocampo fossero coinvolti nella memoria. Questo fu solo il primo passo. Negli anni successivi questa regione del cervello, a forma di cavalluccio marino, mostrò di racchiudere due tipi di cellule la cui funzione permise di capire che l’ippocampo aveva un ruolo non solo nella memoria ma anche nella capacità di navigazione e nella rappresentazione di spazi bidimensionali.
Le prime a essere scoperte furono le cellule di posizione, le quali si attivano per indicare la propria posizione attuale e valsero al loro scopritore, John O’Keefe, neuroscienziato dello University College di Londra, il Premio Nobel per la medicina e fisiologia nel 2014. Il gruppo di ricerca monitorò l’attività cerebrale di topi che potevano muoversi liberamente all’interno di un recinto: osservarono che alcuni neuroni si attivavano solamente quando il roditore si trovava in parti specifiche della gabbia, creando insieme una mappa dell’intero spazio percorribile. Ci si è chiesti, a questo punto, se l’ippocampo potesse memorizzare mappe cognitive oltre a quelle spaziali.
Cellule griglia ed esagoni per mappe cognitive
Uno studio successivo ha fornito dei candidati più promettenti per questa funzionalità. May-Britt Moser ed Edvard Moser, scienziati della Norwegian University of Science and Technology e vincitori insieme a O’Keefe del Nobel, si interessarono della corteccia entorinale, una regione del cervello che si trova in prossimità dell’ippocampo. Tale area è una delle prime a essere danneggiata nell’insorgere della malattia di Alzheimer, i cui sintomi prevedono proprio la perdita della capacità di navigazione oltre che della memoria. È qui che i ricercatori hanno scovato le cosiddette cellule griglia (note anche come cellule GPS): differentemente dalle cellule di posizione, quest’ultime non rappresentano luoghi particolari ma organizzano un sistema di coordinate indipendente dalla posizione. Ciascuna cellula GPS si attiva in posizioni a distanza regolare le quali formano un modello esagonale. Cosa significa? Immaginate di potervi muovere liberamente in una stanza che ha un pavimento rivestito di mattonelle a forma di esagono, a loro volta suddivise in sei triangoli che hanno come base i lati del poligono. Attraversando lo spazio una delle vostre cellule GPS si accenderà ogni volta che giungerete sul vertice di uno dei triangoli. Inoltre, differenti cellule griglia creeranno diverse griglie sovrapposte: tutte insieme mapperanno ogni possibile posizione spaziale in un ambiente e ogni coordinata sarà rappresentata da una combinazione unica di schemi di attività di cellule griglia. È in questo modo che, probabilmente, riusciamo a tenere traccia di dove ci troviamo nello spazio mentre, ad esempio, siamo bendati.
Il reticolo a griglia plasma un senso di spazio più intrinseco di quello delle cellule di posizione e, essendo basato su relazioni relative, potrebbe teoricamente rappresentare molti tipi diversi di informazione.
A caccia di prove sul legame tra memoria e navigazione
L’ipotesi che il codice a griglia aiuti noi esseri umani a navigare in tipologie differenti di informazioni ha stimolato nuovi esperimenti, grazie ai quali è stato possibile dimostrare che le cellule GPS ci guidano anche in “paesaggi” fatti di immagini, suoni e concetti astratti quali il tempo e il comportamento sociale. Effettivamente, se ci pensate, leggiamo la società in termini spaziali come scale da salire, reti da costruire ed espandere, persone che consideriamo “vicine” o “lontane”.
La ricerca in questo ambito è ancora agli albori: per dare forza agli indizi raccolti sull’applicazione del codice a griglia su un’ampia serie di informazioni, gli scienziati stanno tentando di comprendere come le cellule GPS possano lavorare in più di due dimensioni, in quanto conoscenze di livello superiore coinvolgono più di semplici coppie di dati. I risultati già ottenuti, però, hanno galvanizzato gli studiosi che sperano di spiegare attraverso il codice a griglia non solo le funzioni legate alla memoria nell’ippocampo ma di comprendere i meccanismi dell’intera neocorteccia e spiegare tutta la cognizione. Un obiettivo ambizioso che, se raggiunto, fornirebbe una significativa traccia da seguire per progettare nuove cure per patologie che coinvolgono il cervello ma anche per implementare l’intelligenza artificiale e produrre macchine più flessibili e creative, proprio come l’essere umano.
Proseguiamo questo piccolo viaggio nel nostro cervello consigliandovi l’articolo di Luca Bonfanti, “Nuovi neuroni: che farne?”, pubblicato nel numero di aprile 2016 di Sapere.