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07 Gen 2019

Perché non dimentichiamo come andare in bicicletta?

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“È come andare in bicicletta”. Quante volte abbiamo sentito questa frase in riferimento ad abilità imparate tempo prima, che non scordiamo nonostante il trascorrere del tempo e la mancanza di pratica? In un articolo di Scientific American, Boris Suchan, professore in neuropsicologia clinica presso la Ruhr University di Bochum (Germania), ha spiegato perché non dimentichiamo come andare in bicicletta o come nuotare, citando un celebre caso medico che ancora sta contribuendo ad approfondire la conoscenza del cervello umano.

“È come andare in bicicletta”. Quante volte abbiamo sentito questa frase in riferimento ad abilità imparate tempo prima, che non scordiamo nonostante il trascorrere del tempo e la mancanza di pratica? In un articolo di Scientific American, Boris Suchan, professore in neuropsicologia clinica presso la Ruhr University di Bochum (Germania), ha spiegato perché non dimentichiamo come andare in bicicletta o come nuotare, citando un celebre caso medico che ancora sta contribuendo ad approfondire la conoscenza del cervello umano.

 

Tanti tipi di memoria

 

Come avrete potuto intuire tutto parte dalla memoria, la capacità di accumulare informazioni e rievocarle nel corso del tempo. Tra i diversi tipi di memoria si possono distinguere quella a breve termine e quella a lungo termine. La prima ci permette di tenere a mente un numero limitato di informazioni per poche decine di secondi (la utilizziamo, ad esempio, per i calcoli a mente o per ricordare un numero di telefono che ci hanno appena dettato) e, se questi stessi dati vengono elaborati in maniera più approfondita, potranno passare al secondo tipo di memoria. La memoria a lungo termine, di durata maggiore e in grado di ritenere una più alta quantità di informazioni, può essere a sua volta suddivisa in memoria esplicita (o dichiarativa) e memoria implicita (o procedurale). La memoria dichiarativa, a sua volta si ramifica in memoria episodica, che ci fa ricordare del giorno dell’orale dell’esame di maturità o del primo bacio e che tiene traccia del dove e quando abbiamo immagazzinato tali informazioni, e memoria semantica, il patrimonio di conoscenze che possediamo e non sono connesse a riferimenti spazio-temporali, ad esempio il significato di una parola. Per quanto riguarda la memoria dichiarativa siamo consapevoli della conoscenza che custodisce e che siamo in grado di trasmettere agli altri.
Vi è però un altro tipo di memoria, quella procedurale, riferita a quelle capacità depositate nella nostra mente e che sono caratterizzate da un insieme di azioni definite e ormai acquisite, come suonare uno strumento, nuotare o andare in bicicletta.
Come siamo giunti a suddividere e classificare la memoria? La risposta a questo quesito ha iniziato a prendere forma negli anni Cinquanta, grazie allo studio di un paziente molto particolare.

 

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Il caso di H.M.

 

La comprensione della presenza di sistemi di memoria separati è scaturita dalle ricerche effettuate su Henry Gustav Molaison, conosciuto come il paziente H.M. L’uomo aveva iniziato a soffrire di crisi epilettiche all’età di 10 anni, attacchi che erano peggiorate con il passare degli anni: il disturbo non aveva compromesso solo la salute di H.M. che, purtroppo, era stato costretto a interrompere gli studi e i rapporti con gli altri, fino a non riuscire a lavorare ed essere indipendente in età adulta. Nessun trattamento farmacologico sembrava funzionare e il dottor William Beecher Scoville, chirurgo dell’Hartford Hospital che lo aveva preso in cura, decise quindi di optare per una soluzione chirurgica, eliminando le regioni del cervello che pensava collegate al male. Furono asportati i lobi temporali mediali in entrambi gli emisferi, compresi l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia entorinale.
Dopo l’operazione, i medici si resero conto che le crisi epilettiche erano diminuite (anche se Molaison dovette continuare ad assumere farmaci anticonvulsivanti) ma il paziente non era più in grado di formare nuovi ricordi. Per comprendere meglio la forma di amnesia di H.M., i neuropsicologi lo sottoposero a numerosi test. In uno di questi esami, doveva ricalcare una stella e, incredibilmente, ogni volta che svolgeva il compito, l’uomo migliorava (anche se non ricordava di averlo già fatto in precedenza). Come riusciva a imparare se possedeva solo la memoria a breve termine?

 

La resistenza della memoria procedurale

 

Ciò che era successo era la dimostrazione che H.M. poteva sviluppare nuova memoria procedurale ma non dichiarativa. La conoscenza procedurale, quindi, si era mostrata resistente a perdite e traumi. Come mai? I gangli della base, strutture responsabili dell’elaborazione della memoria non dichiarativa, sono relativamente protetti nel centro del cervello, al di sotto della corteccia cerebrale. Nonostante questo, non è ancora chiaro il motivo per cui il contenuto della memoria procedurale non sia facilmente dimenticato quanto quello della memoria dichiarativa. Secondo alcuni studi, nelle regioni in cui gli schemi di movimento sono ancorati, si forma un numero minore di nuovi neuroni in età adulta e, senza neurogenesi o rimodellamento continuo di queste aree, è meno probabile che tali memorie siano cancellate. È così che interiorizziamo semplici sequenze di movimenti – come quelle che ci permettono di andare in bicicletta – anche apprese in un passato piuttosto lontano, e le conserviamo nel corso di una vita.
Che fine ha fatto Henry Gustav Molaison? Dopo essere stato studiato per cinquant’anni – fu grazie a lui che la neuropsicologa canadese Brenda Milner, insieme a Scoville, riuscì a distinguere i due diversi sistemi di memoria – morì a Hartford, il 2 dicembre 2008 per un’insufficienza respiratoria. Il suo apporto agli studi neuroscientifici, però, non si è interrotto: nel 2009, Jacopo Annese, neuroscienziato presso il “The Brain Observatory” di San Diego (California), e i suoi colleghi hanno suddiviso il cervello del paziente H.M. in 2401 sezioni, fotografate in formato digitale ad alta risoluzione per costruire un modello virtuale in 3D, consultabile in rete da tutti i ricercatori che vorranno approfondire in maniera più precisa questo celebre caso e migliorare le conoscenze a disposizione sui diversi sistemi di memoria.

 

Vi piacerebbe conoscere altri segreti del nostro cervello? Fatelo acquistando e leggendo l’articolo di Luca Bonfanti e Chiara La Rosa, “Il mistero dei neuroni ‘immaturi'”, pubblicato nel numero di agosto 2018 di Sapere.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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