È lunedì e per molti di noi sarà stata un’impresa alzarsi dal letto e prepararsi per iniziare la settimana lavorativa. Lo sforzo diventa maggiore se pensiamo che magari, nella pausa pranzo o nel pomeriggio, ci dovremo dedicare a un’attività fisica: andremo a correre, praticheremo uno sport o andremo in palestra per prenderci cura della nostra salute e scaricare lo stress. Riempire il borsone o indossare gli indumenti tecnici saranno operazioni lentissime perché, nonostante sappiamo che staremo meglio, preferiremmo tuffarci sul divano. Questa forma di pigrizia è una reazione fisiologicamente reale, una serie di processi che accadono nel nostro cervello e ci porterebbero a optare per la sedentarietà: i ricercatori della University of British Columbia (Canada) ne hanno le prove.
È lunedì e per molti di noi sarà stata un’impresa alzarsi dal letto e prepararsi per iniziare la settimana lavorativa. Lo sforzo diventa maggiore se pensiamo che magari, nella pausa pranzo o nel pomeriggio, ci dovremo dedicare a un’attività fisica: andremo a correre, praticheremo uno sport o andremo in palestra per prenderci cura della nostra salute e scaricare lo stress. Riempire il borsone o indossare gli indumenti tecnici saranno operazioni lentissime perché, nonostante sappiamo che staremo meglio, preferiremmo tuffarci sul divano. Questa forma di pigrizia è una reazione fisiologicamente reale, una serie di processi che accadono nel nostro cervello e ci porterebbero a optare per la sedentarietà: i ricercatori della University of British Columbia (Canada) ne hanno le prove.
Dare una spiegazione al “paradosso dell’esercizio”
Il cervello è dove Matthieu Boisgontier e i suoi colleghi hanno cercato la risposta a ciò che loro stessi chiamano il “paradosso dell’esercizio”: sono ormai decenni che la società incoraggia le persone a perseguire uno stile di vita più attivo dal punto di vista fisico ma le statistiche ci dicono che stiamo addirittura peggiorando da questo punto di vista.
I risultati dello studio, pubblicato nella rivista Neuropsychologia, indicano che i nostri cervelli funzionano in maniera tale da preferire il divano all’attività fisica. Boisgontier, ricercatore post-doc della University of British Columbia e autore della ricerca, ha spiegato: “Conservare energia è stato essenziale per la sopravvivenza degli esseri umani, poiché ci ha permesso di essere più efficienti nella ricerca di cibo e protezione, nella competizione per i partner sessuali e nell’evitare i predatori. Il fallimento delle politiche pubbliche per contrastare la pandemica inattività fisica potrebbe essere dovuto a dei processi del nostro cervello che si sono sviluppati e rinforzati attraverso l’evoluzione“.
La ricerca pubblicata su Neuropsychologia
Gli scienziati hanno reclutato 29 giovani adulti, li hanno fatti sedere davanti allo schermo di un computer e dato loro il controllo di un avatar. Hanno poi mostrato, per pochi attimi e una alla volta, piccole immagini che ritraevano attività e inattività fisica.
Esempi di immagini usate dai ricercatori per osservare le risposte del cervello dei partecipanti all’esperimento
I soggetti dovevano muovere il proprio avatar più velocemente possibile verso le figure di attività fisica e lontano da quelle di inattività e viceversa, tutto questo mentre degli elettrodi registravano cosa accadesse nei loro cervelli. I partecipanti erano, in generale, più veloci nel muovere l’avatar verso le figure attive e lontano dalle figure sedentarie ma gli elettroencefalogrammi raccolti dimostravano che, nel secondo caso, il cervello aveva necessità di un lavoro maggiore, mettendo in gioco più risorse corticali.
Sarà possibile riprogrammare il nostro cervello?
“Sappiamo da studi precedenti che la gente è più veloce nell’evitare comportamenti sedentari e nel muoversi verso quelli attivi. La novità eccitante del nostro studio è che mostra che questo rapido evitare l’inattività fisica ha un costo – che consiste in un incremento delle risorse del cervello coinvolte. Questi risultati suggeriscono che il nostro cervello è attratto dalla sedentarietà in maniera innata”, ha commentato Boisgontier. A questo punto ci domandiamo se sarà possibile una sorta di riprogrammazione delle nostre menti. Il ricercatore ha risposto: “Tutto ciò che accade automaticamente è difficile da inibire, anche se lo vogliamo, perché non sappiamo cosa stia succedendo. Ma proprio la conoscenza di cosa sta succedendo è un primo passo importante”.
Lo studio del cervello è fondamentale anche per trovare nuove terapie per contrastare patologie gravi quali la depressione. Scopritele acquistando e leggendo l’articolo di Agnese Mariotti, “Depressione: verso la terapia personalizzata”, pubblicato nel numero di aprile 2018 di Sapere.