Spesso ci si divide in schieramenti quando si parla delle nuove tecnologie di cui ci circondiamo, così invasive e onnipresenti, e di discuterne l’utilità o, al contrario, l’influenza negativa che potrebbero esercitare sulle nostre capacità cognitive. Esistono prove che dimostrano che l’uso di smartphone, tablet, PC, il continuo passare da un social e l’altro, l’ipnotico perdersi nell’ultimo videogioco, ci stia realmente cambiando?
Spesso ci si divide in schieramenti quando si parla delle nuove tecnologie di cui ci circondiamo, così invasive e onnipresenti, e di discuterne l’utilità o, al contrario, l’influenza negativa che potrebbero esercitare sulle nostre capacità cognitive. Esistono prove che dimostrano che l’uso di smartphone, tablet, PC, il continuo passare da un social e l’altro, l’ipnotico perdersi nell’ultimo videogioco, ci stia realmente cambiando?
Questa è la domanda che si è posta anche Elena Pasquinelli, una delle autrici di Scientific American, la quale ci parla di ciò che la scienza è riuscita sino a ora a scoprire su come il mondo digitale alteri le nostre menti.
L’illusione del multitasking
Stiamo diventando più stupidi? Questa percezione deriva in parte dalla consapevolezza che i device digitali catturano la nostra attenzione. Dobbiamo lavorare o studiare ma subito arriva una notifica su uno dei nostri social network, poi è il turno del meme divertente o dell’aneddoto spiritoso o del messaggio del nostro amico. Piccoli piaceri che ci spingono a essere sempre vigili, in attesa di un segnale dal nostro telefono e che, conseguentemente, allentano la nostra concentrazione.
Alcuni si illudono di essere maestri del multitasking ossia di poter guidare, lavorare o compiere altre attività in maniera efficiente mentre controllano l’ultimo tweet del politico di turno o ricaricano la propria casella di posta elettronica. I fatti dicono che porre attenzione a due o più attività contemporaneamente riduce le nostre performance. Tra gli studi citati c’è quello del 2009 della Stanford University, condotto da Eyal Ophir: secondo i dati raccolti, i “multitasker” su internet sono meno portati nel passare da un’occupazione all’altra, in quanto meno in grado di suddividere la propria attenzione, e sono più sensibili alle distrazioni. Succede a tutti, anche ai nativi digitali che si pensa erroneamente siano più abituati a un certo tipo di stimoli. Però c’è una buona notizia: i nostri cervelli non sono stati riprogrammati da questo utilizzo compulsivo dei mezzi digitali e possiamo “guarire” dal multitasking in un modo molto semplice: esercitando il nostro autocontrollo e allontanando qualsiasi forma di distrazione quando abbiamo necessità di essere concentrati. Ulteriormente tradotto, significa spegnere telefoni o altro o disattivare le notifiche dei messaggi.
I due volti dei videogiochi: la violenza…
I videogiochi sono un passatempo amato non solo dai più giovani e molto è stato detto e analizzato in questi anni riguardo al loro utilizzo. Uno dei più grandi dibattiti si è basato sull’incremento dell’aggressività che può essere causato da essi. Nel 2015, l’analisi di una serie di studi pubblicati in letteratura ha portato a concludere che giocare con videogiochi dal contenuto violento accentuasse pensieri, comportamenti e sentimenti nella sfera dell’aggressività, in concomitanza con una diminuzione di empatia nei confronti delle vittime. Tuttavia è necessario leggere questi risultati con molta prudenza: nell’ambito di queste ricerche, l’aggressività è stata misurata offrendo ai partecipanti la possibilità di infliggere delle punizioni, eventualità assai rara fuori da un laboratorio. Inoltre si soprassiede sulla causalità: i videogame rendono le persone più violente o individui violenti hanno la tendenza a giocare con i videogame?
…e il miglioramento delle abilità cognitive
L’altra faccia della medaglia sono le ricerche che sostengono che i videogiochi migliorino i tempi di reazione, la soglia dell’attenzione e la memoria di lavoro (la memoria che consente di mantenere temporaneamente l’informazione per permetterne l’elaborazione durante lo svolgimento di compiti cognitivi, quella che usiamo per i calcoli a mente, ad esempio). In uno studio del 2014, pubblicato su Journal of Experimental Psychology, sono stati esaminati gli effetti di videogiochi di azione – nello specifico caso Call of Duty – per allenare la memoria di lavoro visiva. I risultati, però, hanno mostrato un miglioramento solo in applicazioni circoscritte ai controlli di laboratorio della memoria di lavoro visiva mentre, nei compiti richiesti nella vita di ogni giorno, non vi erano cambiamenti positivi sostanziali.
Molti di voi ricorderanno anche i programmi di Brain Training, prodotti dalla Nintendo qualche anno fa: prove mnemoniche ed esercizi di aritmetica appositamente ideati per migliorare le performance cognitive. Un prodotto così progettato ha effettivamente funzionato? Ancora una volta i dati sono contrastanti ed è difficile arrivare a conclusioni decisive.
Impariamo a usare la tecnologia
La conclusione dell’articolo pubblicato su Scientific American si rivela in parte rassicurante: l’utilizzo delle nuove tecnologie non altera così tanto il nostro cervello da renderci più “stupidi” o più “intelligenti” e, per migliorare le nostre capacità intellettive, forse sarebbe meglio affidarci ai metodi tradizionali. Testiamo la nostra memoria quotidianamente, legando questo esercizio alla realtà che ci circonda e alle nostre vite. Se memorizziamo la lista della spesa, chiediamoci quali ingredienti ci servono per la ricetta che desideriamo preparare e per quale giorno della settimana ci serviranno: al contrario dell’asettico brain training, questo approccio ci coinvolge direttamente e ci permette di concentrarci su ciò che sappiamo.
L’esercizio delle abilità cognitive non è così fine a se stesso come può sembrare a prima vista e può essere di supporto per combattere un altro rischio a cui siamo esposti in quest’epoca: il dilagare di fake news sui social network. Nello stesso modo in cui gli smartphone accentuano la nostra tendenza a essere distratti, così i social media accompagnano la nostra naturale inclinazione a credere in ciò che vogliamo.
La soluzione è, come sempre, educare. Non solo i giovani ma anche gli adulti, in tempi come questi, devono assolutamente imparare a concentrarsi, a controllarsi e a sviluppare il pensiero critico.
Esistono altre tipologie di dispositivi che, invece, possono aiutarci nell’allenamento dell’autocontrollo. Ne parla Paolo Gallina nell’articolo “Le macchine anti-edonistiche”, pubblicato nel numero di Sapere di dicembre 2017.