Si chiama Homo naledi ed è una specie umana finora sconosciuta. La scoperta di resti fossili di quello che sembra un nuovo ramo dell’albero genealogico umano è stata pubblicata sulla rivista eLife.
Si chiama Homo naledi ed è una specie umana finora sconosciuta. La scoperta di resti fossili di quello che sembra un nuovo ramo dell’albero genealogico umano è stata pubblicata sulla rivista eLife.
Il gruppo internazionale di scienziati, guidato da Lee Berger della University of the Witwatersrand di Johannesburg, ha rinvenuto quindici scheletri (per un totale di oltre 1500 ossa) che risalirebbero a ominidi vissuti circa 2,5 milioni di anni fa e appartenenti a una specie che si pone a metà tra i primi bipedi e Homo erectus. La scoperta è avvenuta nella grotta Rising Star Cave, a circa 50 chilometri da Johannesburg, Sudafrica. La specie, che sembra appunto del tutto nuova, potrebbe aver avuto l’abitudine di seppellire i propri morti (il luogo del rinvenimento, a circa 90 metri sottoterra, sembra una camera mortuaria) e molto probabilmente conosceva il fuoco. “Homo naledi, una specie non umana di ominide, potrebbe aver avuto l’usanza di seppellire i propri morti. Non sappiamo a quale scopo ma, finora, questo tipo di attività era ritenuta esclusiva della specie umana” ha commentato Berger.
Il cervello di questa specie non era più grande di un’arancia, con una scatola cranica del maschio che era grande meno della metà di quella di un moderno umano. Le sue mani erano simili a quelle umane, ma con ossa delle dita bloccate in una sorta di forma curva, un tratto che suggerisce la capacità di arrampicarsi e di adoperare utensili. La sua altezza, infine, era di circa un metro e sessanta, pesava circa 45 chili, aveva gambe lunghe e piedi quasi identici ai nostri, il che suggerisce la capacità di percorrere lunghe distanze.
“Nel complesso, Homo naledi si presenta come uno dei membri più primitivi del nostro genere ma possiede anche alcune caratteristiche sorprendentemente simili a quelle umane, sufficienti per giustificare l’immissione nel genere Homo”, ha commentato John Hawks della University of Wisconsin-Madison.
[Immagine tratta dalla rivista eLife]