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12 Feb 2019

Una grotta molto frequentata: nuovi dati sull’occupazione di Denisoviani e Neanderthal in Siberia

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Nuove notizie giungono dalla grotta di Denisova, sui monti Altai, in Siberia meridionale. I ricercatori dell’Università di Oxford, in collaborazione con gruppi multidisciplinari di studiosi provenienti da Regno Unito, Russia, Australia, Canada e Germania, hanno finalmente pubblicato i risultati di una serie di analisi cronologiche e genetiche effettuate sui campioni raccolti in quello che è conosciuto come l’unico luogo nel mondo a essere stato occupato da Denisoviani e Neanderthal in differenti intervalli di tempo. La ricerca è descritta in due articoli pubblicati su Nature.

Nuove notizie giungono dalla grotta di Denisova, sui monti Altai, in Siberia meridionale. I ricercatori dell’Università di Oxford, in collaborazione con gruppi multidisciplinari di studiosi provenienti da Regno Unito, Russia, Australia, Canada e Germania, hanno finalmente pubblicato i risultati di una serie di analisi cronologiche e genetiche effettuate sui campioni raccolti in quello che è conosciuto come l’unico luogo nel mondo a essere stato occupato da Denisoviani e Neanderthal in differenti intervalli di tempo. La ricerca è descritta in due articoli pubblicati su Nature.

 

Un sito archeologico famoso: dalle prime testimonianze di Denisova all’ibridazione tra gruppi umani distinti

 

Il materiale esaminato dai ricercatori ha compreso ossa, artefatti e sedimenti provenienti dalla grotta di Denisova, sito archeologico costellato di resti di antichi esseri umani. È stato così possibile ricostruire una storia dettagliata dell’occupazione del posto da parte di due differenti gruppi di ominidi, durata 300.000 anni. Ma facciamo un piccolo passo indietro per comprendere l’importanza di questo luogo e degli studi intrapresi dagli scienziati.
Come racconta la news pubblicata sul sito di Nature, gli archeologi hanno iniziato a svelare la storia della grotta nei primi anni Ottanta e, da allora, sono stati ritrovati i resti frammentari di circa una dozzina di esseri umani. L’area divenne famosa nel 2010, dopo che l’analisi del DNA di un piccolo osso delle dita dimostrò che il suo proprietario doveva essere una creatura distinta sia dai Neanderthal, sia dagli uomini moderni: era stato individuato un nuovo gruppo di ominidi, i Denisoviani. Un’altra pietra miliare dell’evolversi di questa ricerca è la scoperta pubblicata nel 2018. È ancora il DNA a essere la chiave di accesso alla conoscenza del passato, raccontandoci che uno dei frammenti di ossa lunghe era appartenuto al primo ibrido tra due gruppi umani antichi distinti mai conosciuto: è stata chiamata Denny ed è la figlia di una donna neanderthaliana e un uomo denisoviano.

 

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Questioni di datazione

 

Per realizzare una mappa cronologica delle occupazioni susseguitesi nella grotta di Denisova era necessario datare quanti più elementi possibili ritrovati al suo interno. Una questione complessa principalmente a causa di due ostacoli: i resti erano tutti più vecchi di 50.000 anni, il tetto massimo raggiungibile in una datazione basata sul radiocarbonio; vi era poi la difficoltà di leggere correttamente la stratigrafia del posto, che poteva essere stata manomessa, ad esempio, dallo scavare di animali che, in questo modo, avrebbero spostato elementi di uno strato (e quindi di una determinata finestra temporale) in un altro.
Per superare queste sfide, gli scienziati hanno adoperato altre tecniche di datazione tra cui l’OSL (Luminescenza Otticamente Stimolata), un metodo simile alla termoluminescenza che determina quando granelli di quarzo o di feldspato potassico contenuti nel suolo sono stati esposti per l’ultima volta alla luce. Ciò ha permesso di identificare le regioni della grotta in cui la stratigrafia era stata compromessa, segnalando i minerali esposti l’ultima volta al sole in differenti momenti pur essendo adiacenti. Queste zone sono, quindi, state omesse nel momento in cui si è trattato di datare, in quegli stessi strati geologici, resti umani e strumenti. Inoltre le datazioni sono state perfezionate applicando un modello statistico: un nuovo approccio di tipo bayesiano sviluppato dal gruppo di ricerca di Oxford che combina le numerose date ricavate con informazioni sulla stratigrafia del deposito e sull’età genetiche dei relativi fossili di Neanderthal e Denisova.
Chi e quando si è servito della grotta come rifugio nel passato? I dati riflettono l’occupazione da parte dei Denisoviani almeno a partire da 200.000 anni fa; i Neanderthal hanno visitato il sito tra 200.000 e 100.000 anni fa. C’è poi Denny (vissuta intorno a 90.000 anni fa), la testimonianza che i due gruppi si sono incontrati e incrociati circa 100.000 anni fa. La maggior parte delle prove della presenza di Neanderthal nella grotta di Denisova ricade all’interno dell’ultimo periodo interglaciale, circa 120.000 anni fa, quando il clima era relativamente caldo, mentre i Denisoviani sono sopravvissuti a periodi molto più freddi per poi scomparire intorno a 50.000 anni fa.

 

Quei manufatti tanto “sapiens”

 

E l’Homo sapiens? Gli scienziati dicono che potrebbe essere vissuto anche lui in quella grotta. Pendenti in osso e altri strumenti simili a quelli prodotti dai primi uomini moderni, in Europa, sono stati ritrovati negli strati più giovani del sito e risalgono a un periodo compreso tra 49.000 e 43.000 anni fa. I ricercatori hanno datato un osso di ominide tra i 46.000 e i 50.000 anni fa senza, però, poter affermare che appartenesse a un H. sapiens. Inoltre non sono stati recuperati altri resti di esseri umani moderni di questo periodo – la prima fase del Paleolitico superiore – sia nella grotta di Denisova, sia nella regione di Altai. E se quei manufatti fossero opera dei Denisoviani? Tom Higham, professore dell’Università di Oxford e autore di uno dei due articoli pubblicati su Nature riguardanti la ricerca descritta, ha commentato a tal proposito: “Questa è una questione aperta sulla possibilità che i Denisoviani o gli uomini moderni abbiano realizzato questi ornamenti personali ritrovati nella grotta. Noi speriamo che, a tempo debito, l’applicazione dell’analisi del DNA sui sedimenti possa permetterci di identificare chi ha fabbricato di questi oggetti, i quali sono spesso associati a comportamento simbolico e più complesso all’interno del record archeologico”.

 

Potrete capire qualcosa in più dei nostri antenati acquistando e leggendo l’articolo di Alessandra Maria Adelaide Chiotto, “Quel po’ di Neanderthal (e Denisova) che c’è in noi”, pubblicato nel numero di agosto 2018 di Sapere.

 

 

Immagine di copertina: riproduzione iperrealistica di Homo neanderthalensis conservata presso il Natural History Museum di Londra. Credits: Allan Henderson su Flickr (CC BY 2.0)

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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