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novembre-dicembre 2018

Un approccio ecosostenibile per la difesa del banano

di Aurelio Ciancio e Fabrizio Cillo, CNR - Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante, Bari

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L’esistenza del banano nei Paesi tropicali è oggi a rischio: l’obiettivo dei nuovi studi è quindi la ricerca di varietà resistenti e consorzi microbici benefici per un controllo efficace delle diverse malattie.

 

Il consumo di frutta è fortunatamente diffuso negli orientamenti alimentari degli italiani, e ancor più dovrebbe esserlo a sentire i consigli di medici e dietologi che della frutta decantano le virtù nutrizionali. Alle specie di frutta “nostrana” si aggiunge la banana che è da sempre parte integrante dei nostri pasti, nonostante debba viaggiare migliaia di chilometri per raggiungere le nostre tavole. L’uso che noi facciamo della banana è però piuttosto limitato rispetto al suo impiego nella dieta quotidiana nei Paesi della fascia tropicale, dove la pianta viene coltivata.

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La banana è l’unico cibo di origine vegetale fra i dieci più importanti per l’alimentazione umana che può essere mangiato, a seconda delle varietà, sia crudo che cotto. Circa il 60% delle banane prodotte sono consumate come frutto crudo, mentre la parte restante è utilizzata dopo la cottura (al vapore o in acqua bollente, fritta o arrostita). Le banane da cottura comprendono le varietà degli altopiani dell’Africa orientale e le varietà di “platano” (termine di origine spagnola) africane, asiatiche e sudamericane. Il consumo pro capite di banane da cottura supera nell’Africa orientale i 500 g per persona al giorno, rendendole l’alimento base della dieta della popolazione.
Il banano (Musa spp.), al contrario delle apparenze, non è un albero ma una pianta erbacea, della famiglia delle Musaceae. Il fusto principale è in effetti uno pseudofusto alto fino a 6-7 metri, che cresce da un bulbo-tubero sotterraneo conosciuto anche come cormo. Molte varietà di banani sono perenni: dal cormo si differenziano nuovi polloni laterali che saranno allevati come nuovi pseudofusti, mentre i vecchi saranno eliminati dopo la fruttificazione. La pianta del banano è coltivata in 135 Paesi tropicali di Asia, Africa e America. Basandosi su riferimenti scritti in Asia in sanscrito intorno all’anno 500 a.C., sembrerebbe che la banana sia stata il primo frutto usato regolarmente da intere popolazioni a scopo alimentare. Dall’areale di origine, l’Asia appunto, il banano avrebbe seguìto quindi le popolazioni indigene nel loro spostamento verso il Madagascar e poi l’Africa continentale. Portoghesi e spagnoli avrebbero infine avviato la coltivazione del banano, a partire dal XVI secolo, anche nelle Americhe.

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La produzione delle banane in tutto il mondo raggiunge circa 150 milioni di tonnellate, di cui circa l’85% è costituito da un migliaio di varietà locali consumate come alimento base fondamentale negli stessi Paesi produttori. La parte restante è invece destinata all’esportazione. La domanda mondiale di banane nei Paesi non produttori è cresciuta consistentemente dal 1995. Nel 2017 sono stati esportati 22,4 milioni di tonnellate di banane, con un aumento del 50% rispetto a poco più di 20 anni fa.
Le prospettive future della coltura del banano, che come tutta l’agricoltura mondiale si trova ad affrontare i problemi posti dai cambiamenti climatici globali, nascondono luci e ombre. Da un lato, a dispetto dell’aumento di temperatura della fascia tropicale del pianeta ipotizzato dai modelli climatologici pari a 3 °C entro il 2070, le condizioni per la produzione di banane diventeranno sempre più favorevoli nelle regioni subtropicali e negli altopiani tropicali. Si stima che la superficie terrestre adatta alla coltivazione del banano aumenterà del 50% entro il 2070.

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La faccia opposta della medaglia è che le mutate condizioni climatiche creeranno nuovi problemi, che si andranno ad aggiungere a quelli già storicamente presenti nell’areale di coltivazione. La filiera produttiva della banana nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto dove è più diffusa la piccola azienda familiare come nell’Africa subsahariana, è esposta a condizioni sfavorevoli che ne limitano pesantemente la produttività. Alle storiche pressioni di natura sociale, si affiancano vecchi problemi di origine naturale, come la siccità e la scarsa fertilità dei suoli.

Oggi, inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici stanno favorendo – e continueranno a favorire sempre più – la diffusione e la gravità di alcune delle malattie e dei parassiti che devastano le coltivazioni di banano in estese regioni del pianeta, rendendosi responsabili di considerevoli perdite economiche. Per esempio il fungo terricolo Fusarium oxysporum f. sp. cubense (Foc), agente causale della cosiddetta “malattia di Panama”, già negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso ha determinato la scomparsa della varietà di banana allora più diffusa, la “Gros Michel”, e continua ancora a minacciare le economie dei Paesi produttori, causando ingenti danni alle colture di banana in tutto il mondo. La varietà “Cavendish”, che oggi ha sostituito la “Gros Michel” come principale varietà da esportazione, deve il suo successo proprio alla resistenza a Foc oltre che alla sua buona tolleranza allo stress da trasporto a lunga distanza. Una nuova forma del fungo Foc, conosciuta come “tropical race 4” (TR4), si è però dimostrata molto virulenta anche su “Cavendish” e oggi rappresenta una seria minaccia nel Sud-Est asiatico. Recentemente, Foc-TR4 si è presentato in tutta la sua devastante gravità in Australia settentrionale, Giordania e Mozambico. Le strategie di difesa del banano dalla malattia di Panama consistono nell’applicare misure preventive, cioè messe in atto prima della comparsa delle infezioni, ma fondamentale resta la disponibilità di varietà resistenti.

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È importante la scoperta di genotipi di banano resistenti a Foc-TR4, ritrovati per esempio in una collezione di germoplasma bananicolo centroamericano e in mutanti di “Cavendish” ottenuti attraverso coltura in vitro.
Ai patogeni si aggiungono i nematodi, che infestano le radici causando la riduzione della crescita e della vitalità della pianta, e il micidiale insetto noto come “punteruolo” della banana (Cosmopolites sordidus). Per queste avversità i pesticidi non rappresentano più un’opzione ecosostenibile per proteggere le coltivazioni. Molti principi attivi sono stati ritirati dall’uso o saranno progressivamente limitati all’interno dell’Unione Europea, a causa degli effetti nocivi sulla salute e sull’ambiente dovuti ai residui tossici. Nell’Africa subsahariana, dove le politiche fitosanitarie sono meno restrittive e i relativi controlli sono spesso meno efficaci, tali pesticidi vengono ancora usati, minacciando la salute dei contadini, dei consumatori e dell’ambiente.

 

L’alternativa che bisogna perseguire si basa sull’intensificazione sostenibile della coltivazione del banano, attraverso l’identificazione, lo sviluppo e l’implementazione di una serie di metodi complementari per la gestione di malattie e insetti. Numerosi gruppi di ricerca lavorano in questa direzione e l’Unione Europea (UE) ha finanziato nel 2017 il progetto MUSA: Microbial Uptakes for Sustainable Management of major Banana Pests and Diseases (Impiego di microrganismi benefici per la gestione sostenibile dei principali parassiti e malattie del banano).
Obiettivo principale di MUSA è realizzare una serie di attività di ricerca che creino collaborazioni e sinergie tra alcuni degli istituti europei e internazionali da anni impegnati sul fronte della difesa del banano da parassiti e malattie. L’approccio prescelto per questo progetto transnazionale di ricerca è quello della gestione integrata delle infestazioni (Integrated Pest Management o IPM). L’IPM si può definire un approccio olistico per contrastare gli effetti negativi dei parassiti e delle malattie sulle piante coltivate, attraverso l’impiego sinergico di tutte le tecniche di controllo disponibili, e la contemporanea riduzione del ricorso all’impiego di agrofarmaci chimici di sintesi.

Si parla dunque dell’impiego armonico di modalità a basso impatto ambientale. Alcuni esempi: l’adozione di misure agronomiche, meccaniche e fisiche, adatte a evitare l’infestazione; l’impiego di varietà di piante geneticamente resistenti alle principali avversità; il ricorso a organismi antagonisti, a microrganismi benefici e ad altri agenti di biocontrollo; il mantenimento della biodiversità negli ecosistemi agrari. Solo in caso di insuccesso di misure di controllo ecocompatibili, si renderebbe necessario l’intervento con misure tradizionali basate su agrofarmaci. L’obiettivo dell’IPM non è quindi quello di eliminare del tutto parassiti e patogeni, bensì piuttosto di mantenerne le loro popolazioni al di sotto della soglia del danno economico. Mettere in pratica questa strategia è utile non solo per limitare l’impiego di sostanze chimiche tossiche, ma anche per ridurre significativamente la possibilità che insorgano nelle popolazioni di insetti e nematodi fenomeni di resistenza ai pesticidi usati per controllarli.

 

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Il progetto MUSA adotta dunque l’approccio della gestione integrata, in cui la pianta e la biodiversità del suolo che la ospita e la nutre creano insieme condizioni di maggior tolleranza alle avversità esterne. In questa visione olistica, saranno isolate e valutate le diverse popolazioni di microrganismi associate al banano in vari ambienti di coltivazione in Africa orientale (Uganda, Tanzania, Etiopia), Centro-America (Costa Rica, Cuba) ed Europa (nei centri di coltivazione spagnoli presso le isole Canarie) al fine di avere una chiara comprensione di quali specie di funghi e batteri possano indurre, interagendo con la pianta, gli effetti benefici di una minore suscettibilità agli stress. Una volta noti i protagonisti microbici più attivi, sarà possibile comprendere se, e attraverso quali meccanismi, le difese contro le malattie possano essere potenziate e rese ancora più efficaci grazie all’interazione della pianta con microrganismi benefici che vivono nella porzione di suolo che circonda le radici – la rizosfera – o all’interno dei tessuti della pianta stessa.

 

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Parallelamente si procederà alla selezione, la sperimentazione e la valutazione in campo di genotipi di banano tradizionali o di recente selezione; l’obiettivo è identificare i principali meccanismi molecolari coinvolti nelle risposte di resistenza del banano a patogeni e fitofagi. Decenni di ricerche nel settore del miglioramento genetico del banano, che hanno già portato significativi risultati nelle rese produttive, rappresentano un importante retroterra da cui partire. I programmi di miglioramento genetico hanno permesso anche lo sviluppo di nuove varietà contenenti geni di resistenza, adatte alle tecniche di IPM a ridotto impatto ambientale e di lotta biologica. La genomica, con i suoi approcci più innovativi sviluppati dalla compagine di ricerca internazionale, rappresenta una parte fondamentale delle attività previste nel progetto.

La creazione di una maggiore consapevolezza sulle prospettive future nel controllo delle malattie e, in prospettiva, il coordinamento degli sforzi tra Paesi e istituzioni per un’esecuzione appropriata di misure di IPM ecocompatibili richiederanno una sinergia tra il mondo della ricerca e tutti i soggetti interessati, dalle grandi istituzioni internazionali alle associazioni dei coltivatori e le imprese attive nei Paesi europei, africani e centroamericani coinvolti. Aziende come il Grupo Regional de Cooperativas Plataneras-Coplaca di Santa Cruz de Tenerife, in Spagna, o la Real IPM Company Ltd di Nairobi, in Kenya, sono partner del progetto MUSA e perseguono il miglioramento dei protocolli di gestione per lo sviluppo di varietà di banana alternative e resistenti agli stress biotici.

 

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