Deinococcus radiodurans è un batterio noto per la capacità di resistere a dosi di radiazioni circa tremila volte superiori a quelle sufficienti a uccidere un uomo. Questa incredibile proprietà gli ha consentito di entrare nel Guinness dei primati come la “forma di vita più resistente alle radiazioni”. Di conseguenza, l’attenzione degli scienziati si è rivolta alle capacità di questo batterio di riparare i danni prodotti dalle radiazioni sul DNA. Ciò ha rivelato la presenza di efficaci meccanismi multipli, ma che non spiegavano appieno le sue altre multiformi abilità, quali resistenza ad acidità, radiazioni ultraviolette, vuoto spinto, freddo e dessicazione.
Deinococcus radiodurans è un batterio noto per la capacità di resistere a dosi di radiazioni circa tremila volte superiori a quelle sufficienti a uccidere un uomo. Questa incredibile proprietà gli ha consentito di entrare nel Guinness dei primati come la “forma di vita più resistente alle radiazioni”. Di conseguenza, l’attenzione degli scienziati si è rivolta alle capacità di questo batterio di riparare i danni prodotti dalle radiazioni sul DNA. Ciò ha rivelato la presenza di efficaci meccanismi multipli, ma che non spiegavano appieno le sue altre multiformi abilità, quali resistenza ad acidità, radiazioni ultraviolette, vuoto spinto, freddo e dessicazione.
È nata così l’idea di indagare a fondo sulle strutture cellulari che interagiscono direttamente con l’ambiente esterno. Presso l’Università degli studi di Cagliari, nel laboratorio di Fotobiologia e Fisiologia vegetale, sono state sviluppate delle metodiche atte a isolare la parte più esterna della parete cellulare di questo batterio. Composta da due membrane (interna ed esterna) e avvolta da uno strato di zuccheri, la parete possiede una zona nota come “strato di superficie” (S‑layer). Quest’ultimo è composto da proteine disposte tra loro in maniera tanto ordinata e regolare da costituire uno strato paracristallino. Attraverso analisi molecolari, per la prima volta sono state descritte le principali componenti di questo S‑layer: la presenza di un canale che si ripete ordinatamente numerose volte nello strato e che attraversa l’intera parete cellulare, e una particolare proteina di superficie – dal nome impronunciabile SlpA – che è ordinatamente disposta attorno al canale e ricopre l’intera superficie batterica. La sua anomala abbondanza (15% delle proteine totali) ha spinto la nostra ricerca verso l’analisi della sua funzione fisiologica. La proteina SlpA ha un caratteristico color rosa brillante conferitogli dalla deinoxantina, una piccola molecola utile allo svolgimento della sua funzionalità (o cofattore) che appartiene alla classe dei carotenoidi, la stessa classe del carotene delle carote, ma è specifico di Deinococcus.
Analisi biofisiche hanno rivelato il ruolo fondamentale della SlpA e della deinoxantina nella resistenza alle radiazioni UV. Questo sistema pigmento-proteina che abbiamo chiamato SDBC (S‑layer Deinoxanthin Binding Complex – complesso di superficie legante la deinoxantina) agisce da scudo contro le radiazioni UV, soprattutto in condizioni di dessicazione del batterio. La radiazione UV, che incide sulla superficie del batterio, viene dunque dissipata, limitando così la dose che raggiunge l’interno cellulare e contribuendo a prevenire mutazioni nocive o letali del DNA. Queste scoperte hanno aperto la strada all’utilizzo pratico della deinoxantina in campo nutrizionale e dermatologico, e della proteina SlpA in diversi settori dell’alta tecnologia.