Sicuramente nella vostra vita vi sarà capitato di associare un luogo, un evento o un ricordo a uno specifico odore. A volte, è quasi sufficiente rievocare nella mente quel ricordo per risentire persino l’odore ad esso legato. E se vi venisse detto di pensare all’India, che odore vi verrebbe in mente? Certamente l’India è un insieme indefinito e potente di sensazioni e fragranze, ora piacevoli, ora nauseanti… ma un odore forse prevarrebbe. Si tratta del patchouli, un denso olio essenziale del colore dell’ambra, di notevole importanza commerciale.
Cos’è il patchouli?
Il suo aroma viene definito come un misto, estremamente penetrante di erbaceo dolciastro, aromatico, speziato, legnoso, balsamico, terroso, canforaceo, leggermente stantio e tendente all’aroma dei tuberi. Durante il periodo degli Hippie, il patchouli venne usato (e abusato), associandolo addirittura all’odore del sesso, data la presunta abilità afrodisiaca.
L’olio essenziale viene estratto dalle foglie essiccate di Pogostemon cablin, una pianta molto rigogliosa in Asia. Conosciuta fin dagli albori come pianta medicinale e mistica, soltanto con l’avvento degli arabi sono state sfruttate le sue proprietà aromatiche. Originariamente endemica delle Filippine, venne poi importata dagli inglesi in India nel 1834, dove divenne abbondantemente coltivata. Il nome patchouli deriva dalla lingua tamil pacchilai, parola composta da pacchai (verde) e ilai (foglia). Furono proprio i coloni britannici a importare l’olio essenziale in Europa, restando ammaliati dall’intenso odore che permeava ogni vicolo delle città indiane.
Come si estrae l’olio di patchouli?
L’olio di patchouli è oggi uno degli olii essenziali più prodotti al mondo, con una richiesta di oltre un milione di kg annui. La sua estrazione è un processo delicato, in quanto molti fattori ambientali e tecnici possono influire significativamente sul prodotto finale. Si tratta di un estratto vegetale estremamente ricco, che vanta centinaia di molecole che conferiscono l’odore assai complesso: una loro variazione in concentrazione causa uno sbilanciamento degli odori a favore di una nota piuttosto che un’altra. I costituenti maggioritari sono α-patchoulene, β-patchoulene, (E)-β-cariofillene, α-guaiene, seychellene, acifillene, α-bulnesene, patchoulolo e pogostone.
La migliore tecnica estrattiva prevede una essiccazione delle foglie sotto il sole per una settimana, seguita da un processo di lieve fermentazione al fine di indebolire le pareti cellulari dei tricomi, particolari ghiandole delle foglie che contengono l’olio essenziale. Dunque, si procede con la distillazione in corrente di vapore, in cui un getto di vapore acqueo incandescente attraversa la massa vegetale e trasporta con sé gli olii estratti che successivamente verranno raccolti per condensazione e stratificazione del vapore, tornato liquido per raffreddamento. Il contenuto di olio si aggira intorno al 2-4% per pianta, con una raccolta ogni 3-6 mesi, per un massimo di 3 anni, periodo in cui la pianta diviene vecchia e non produce più sufficiente olio essenziale.
L’olio di Patchouli costituisce, oltre che un elisir olfattivo, una sfida per i chimici. I suoi costituenti sono molecole organiche di estrema complessità, con strutture cicliche, ponti e numerosi centri chirali. I primi studi sulle sue strutture risalgono agli anni ’60 del secolo scorso, ma ancora oggi vengono pubblicati studi sulle strutture aggiornate, corrette o riformulate. Tecniche di indagine molto avanzate, come la risonanza magnetica nucleare bidimensionale ad alta frequenza, cromatografie ad alta risoluzione e cristallografie hanno permesso di correggere e ridisegnare l’attuale struttura di questi composti.
Oggi il patchouli è un ingrediente base di oltre i due terzi di tutti i profumi maschili. Ma fate attenzione, è un aroma che, in alte dosi, ricorda la muffa e il rancido!
Immagine di copertina: per gentile concessione del Dottor Sebastiano Casarrubia