Non è facile credere che una piuma e un martello, lasciati cadere da una data altezza, possano cadere al suolo con pari velocità, eppure è quello che avviene se si opera nel vuoto. Di recente lo si è rivisto in TV nell’esperimento fatto nel 1971 da David Scott sulla Luna.
Non è facile credere che una piuma e un martello, lasciati cadere da una data altezza, possano cadere al suolo con pari velocità, eppure è quello che avviene se si opera nel vuoto. Di recente, lo si è rivisto in TV nell’esperimento fatto nel 1971 da David Scott sulla Luna.
Per secoli si è accettata l’idea aristotelica che i corpi cadano con velocità tanto maggiore quanto più pesano. Il martello scende più velocemente se si opera in un mezzo viscoso – ad esempio l’aria – che oppone una certa resistenza alla caduta.
Galileo rilevò che l’errore di Aristotele fu di ignorare che nella caduta c’è una fase iniziale di accelerazione. Ma poiché il mezzo oppone una resistenza, la quale cresce con la velocità, la forza frenante a un certo punto arriva a eguagliare quella di gravità. Per la legge di Newton l’accelerazione del corpo va a zero e da questo momento esso procede a velocità costante (velocità limite o di regime). È ovvio che, quanto maggiore è il peso del corpo, tanto più alta è la velocità limite e tanto più tardi viene raggiunta. Ovviamente, conta anche l’aerodinamicità del grave, come mostrato in figura. La velocità cui si riferiva Aristotele è appunto questa velocità limite.
Galileo e la caduta dei gravi dalla Torre di Pisa
Di Galileo si narra che lasciasse cadere pesi dalla torre di Pisa per studiare l’effetto dell’attrito dell’aria. In realtà, egli si limitò a suggerire l’esperimento, fatto poi dal suo allievo Renieri. E poiché al tempo non poteva disporre di un ambiente evacuato dall’aria, Galileo si limitò ad arguire che la caduta nel vuoto avverrebbe a velocità identica per tutti i corpi con un elegante ragionamento per assurdo.
Nel suo Gedanken experiment, o esperimento mentale, Galileo assume per assurdo la validità della posizione di Aristotele, e cioè che anche nel vuoto il più pesante dei due corpi arrivi a terra per primo. Allora – dice – si può formare un corpo più pesante incollando i due corpi assieme e attendersi che esso cada a terra più in fretta dei due presi individualmente. Ma si può ragionare anche così: il corpo più pesante trascina con sé il corpo più leggero incrementandone la velocità, mentre questo, agendo da freno sul corpo più pesante, lo rallenta. In tal caso il tempo di caduta risulterebbe intermedio tra quelli misurati separatamente per i due oggetti. Due verità contrastanti, che ci fanno concludere che l’assunto iniziale è errato.
Quanto più un corpo incontra resistenza dal mezzo tanto più presto la velocità di regime viene raggiunta e tanto più bassa rimane. Per un corpo umano in aria essa è attorno ai 200 km/h, abbastanza lenta da permettere, a chi si lancia da un aereo, molte evoluzioni prima dell’apertura del paracadute.
Come fare una verifica in proprio…
Ci si procura un cilindro di plexiglas di almeno 5 cm di diametro e lungo sul metro e, dopo avervi introdotto una biglia d’acciaio, un sughero e un fiocco di cotone, lo si sigilla ermeticamente alle due estremità con tappi di gomma.
Nel tappo superiore si fa passare un tubicino di metallo a cui si collega una pompa da vuoto tramite un condotto munito di rubinetto. Si pompa brevemente, si chiude il rubinetto e si capovolge con mossa rapida il tubo di plexiglas, in modo che i tre corpiccioli possano cadere liberamente. Si ripete l’operazione dopo aver pompato ancora per un po’ e così via.
Si vede che i ritardi nella caduta dei tre corpiccioli – che prima del pompaggio sono cospicui – vanno riducendosi man mano che la pressione dell’aria nel tubo si riduce (utile allo scopo la presenza di un manometro). Se la tenuta del sistema è buona, si può anche arrivare a una caduta simultanea.
