Vogliamo qui smentire un diffusissimo pregiudizio sulle modalità di caduta dei proietti che risale a prima di Galileo. La questione, come posta da Galileo, è: il tempo che un oggetto scagliato orizzontalmente a grande distanza impiega a toccare il suolo dipende o no dalla sua velocità iniziale di lancio? A questa domanda, l’intuito e il senso comune spingono a dare una risposta errata, come è facile verificare.
Da cosa dipende il tempo di caduta?
Ignorando per semplicità l’attrito dell’aria, Galileo si chiede se una palla di cannone, sparata orizzontalmente dalla cima di una torre, tocca terra prima o dopo di un’altra eguale, lasciata simultaneamente cadere a perpendicolo dalla bocca del cannone, senza alcuna spinta. Guardate la figura e provate a rispondere prima di leggere oltre.
Molti risponderanno che impiega più tempo a toccare terra la prima delle due perché lo slancio orizzontale la sostiene in volo tanto più a lungo quanto maggiore è la velocità di sparo. La caduta non verticale, in altri termini, verrebbe ritardata a causa dello spostamento orizzontale. Per Galileo invece: «Quando in cima di una torre fusse una colubrina livellata, e con essa si tirassero tiri di punto bianco, ossia paralleli all’orizonte, per poca o molta carica che si desse al pezzo, sì che la palla andasse a cadere ora lontana mille braccia, or quattro mila, or sei mila, or dieci mila etc., tutti questi tiri si spedirebbero in tempi eguali tra di loro, e ciascheduno eguale al tempo che la palla consumerebbe a venire dalla bocca del pezzo sino in terra, lasciata, senz’altro impulso, cadere semplicemente giù a perpendicolo. Or par meravigliosa cosa che nell’istesso breve tempo della caduta a piombo sino in terra dall’altezza, verbigrazia, di cento braccia, possa la medesima palla, cacciata dal fuoco, passare or quattrocento, or mille, or quattromila, ed or diecimila braccia, sì che la palla in tutti i tiri di punto bianco si trattenga sempre in aria per tempi eguali».
La spiegazione di Galileo
Galileo, fu il primo ad affermare l’indipendenza dei due moti orizzontale e verticale: il primo, moto inerziale uniforme, quindi tale da far percorrere spazi proporzionali al tempo, il secondo, moto uniformemente accelerato, spazi proporzionali al quadrato del tempo. Combinando i due, si ottiene la nota caduta dei proietti con traiettoria parabolica.
Tuttavia, se ciascun moto si svolge in modo indipendente dall’altro, poiché l’accelerazione di gravità è eguale per tutti i corpi, l’abbassamento verticale avviene in maniera identica nei due casi, dunque i tempi per arrivare a terra sono gli stessi (a parte l’effetto d’attrito dell’aria). L’idea non piacque a molti scienziati del tempo, a cominciare da Cartesio, e persino alcuni tra gli allievi di Galileo si mostrarono increduli.
La prova degli Accademici
I membri dell’Accademia del Cimento decisero, alcuni decenni dopo (nel 1658), di fare una verifica, effettuando un esperimento dalla torre della Fortezza Vecchia di Livorno. I risultati, benché vicini alla tesi di Galileo, non furono del tutto univoci, forse per effetto dell’attrito dell’aria e di imprecisioni nelle condizioni sperimentali, tanto che nei diari dell’Accademia fu scritto che non si poteva dirimere la questione in modo definitivo.
Il fuciliere e la noce di cocco
Possiamo pensare alle dispute degli accademici a prova ultimata: chi ha visto toccar terra per prima questa palla, chi quella, chi giura che sono giunte insieme. Bene, possiamo risolvere i loro dubbi con un semplice esperimento da fare in casa senza bisogno di grandi mezzi. Basta prendere spunto da un altro problema del tutto equivalente, quello del fuciliere e della noce: un fuciliere vuol colpire una noce di cocco appesa a una palma; egli la punta direttamente ma, nel momento stesso in cui tira il grilletto, la noce si stacca dal ramo e inizia a cadere. “Colpo sprecato!” fa appena in tempo a pensare l’uomo. E invece no, con sua sorpresa il proiettile giunge a segno spezzando la noce al volo prima che tocchi terra. Gli abbassamenti verticali della noce e del proiettile, infatti, sono identici perché entrambi scendono con la legge di caduta dei gravi. Dunque il fuciliere, mirando diritto alla noce, avrebbe fallito il colpo se questa non si fosse staccata dal ramo!
Il nostro esperimento è mostrato nella figura in basso. Occorre allestire un cannoncino a molla e portarlo in carica con un filo – sottile ma robusto – collegato via carrucole a un peso di carico posto alla stessa quota del proiettile. Se ora con una fiamma si brucia il filo in tensione, il peso cade e il proiettile viene sparato. L’impatto è sempre assicurato e avviene nel punto di intersezione della parabola descritta dalla sferetta con la verticale calata dal carico.
Con formule elementari di meccanica si calcola che l’impatto avviene in un punto che sta sulla verticale sotto la posizione iniziale del carico. Può sembrare incredibile, ma qualsiasi parametro – distanza iniziale, rigidità della molla, valori delle masse – può essere variato a piacere con la certezza che la collisione ha sempre luogo (ogni volta a una quota diversa, ovviamente). E lo stesso avviene se il carico parte da un’altezza diversa dalla sferetta, purché il cannoncino venga inizialmente puntato su di esso.