La musica registrata è un genere di vasto consumo, accessibile nelle case private a un livello di qualità che, grazie alla potenzialità degli odierni sistemi elettronici, si pone quasi sullo stesso piano delle esecuzioni dal vivo. Questi i principali requisiti per una riproduzione in alta fedeltà: resa di tutte le frequenze udibili (20-20.000 Hz), assenza di distorsioni nella forma d’onda, adeguato intervallo dinamico, ossia capacità di riprodurre fedelmente i suoni dai più flebili ai più intensi, infine basso rumore di fondo.
La musica registrata è un genere di vasto consumo, accessibile nelle case private a un livello di qualità che, grazie alla potenzialità degli odierni sistemi elettronici, si pone quasi sullo stesso piano delle esecuzioni dal vivo. Questi i principali requisiti per una riproduzione in alta fedeltà: resa di tutte le frequenze udibili (20-20.000 Hz), assenza di distorsioni nella forma d’onda, adeguato intervallo dinamico, ossia capacità di riprodurre fedelmente i suoni dai più flebili ai più intensi, infine basso rumore di fondo.
Tali requisiti sono tutti presenti nei CD (e DVD), soltanto alcuni nel disco di vinile o nel nastro magnetico. Ad esempio, un pianissimo ppp corrisponde a un livello sonoro di circa 30 db (decibel), un fortissimo fff a 100 db: si tratta di una intervallo dinamico di 70 db (corrispondente a un enorme rapporto di potenza sonora, come 1 sta a 10 milioni). Il CD copre 90 db, pertanto soddisfa appieno le esigenze; il vinile invece copre circa 50 db, e ciò comporta un appiattimento della gamma dei volumi sonori: il pianissimo deve essere registrato al livello di un piano p, il fortissimo di un forte f.
Questa differenza è dovuta al diverso meccanismo fisico che opera nei due casi sia in fase di registrazione, sia di riproduzione. Il vinile si basa sull’oscillazione meccanica di una punta, la quale nei forti non può superare una certa ampiezza, pena una distorsione del segnale, nei piani scendere a un livello paragonabile al rumore di fondo. Il CD ricorre alla lettura per riflessione – niente fruscio, quindi – da parte di un fascio laser di irregolarità sulla sua superficie metallica – i pits – prodotte per fusione da un laser scrivente. E lasciamo da parte l’assenza di usura nel CD e la possibilità di copiare un brano senza alcuna perdita di qualità.
L’argomento usato per promuovere il ritorno del vinile sul mercato – gli obiettivi commerciali sono molti, ad esempio gli alti costi di un fonoriproduttore per vinile – è che il vinile riproduce il segnale per intero, non così il CD. Con “per intero” si intende che il vinile riproduce l’onda sonora completa come emessa dalla sorgente, cioè in modo analogico, laddove il CD effettua un campionamento del segnale, registrandolo solo ogni quarantamillesimo di secondo (40.000 dati al secondo). La curva continua si trasforma pertanto in una curva a scalini. L’orecchio umano non è in grado di accorgersi di tale differenza poiché non percepisce variazioni di segnale che avvengano sotto 1/20.000 secondi. Un vantaggio immediato: i singoli dati sono elaborati digitalmente in codice binario, ciò che permette l’eliminazione di ogni rumore spurio e la perfetta riproducibilità nella copiatura.
Un altro tra i pregi del digitale è la possibilità di “compressione” dei segnali in modalità MP3 o altra, il che consente di immagazzinare la musica in pochissimo spazio di memoria. Un fattore, che in piccola parte “rimedia” all’appiattimento della dinamica nel vinile, viene da una magnifica proprietà del nostro sistema uditivo. Chi avesse ascoltato sempre e soltanto musica dal vivo, rimarrebbe sconcertato al primo ascolto di un vinile perché già i timbri degli strumenti gli sembrerebbero alterati. Per assuefazione all’ascolto di musica riprodotta, invece, il cervello esegue una taratura del suono ricevuto tendente a “ricostruirne” il carattere originale. L’effetto si chiama costanza della percezione sonora. Ma ciò non basta certo a stabilire una sia pur minima superiorità rispetto al CD.
Immagine di copertina: un giradischi alta fedeltà, anni ’60, per vinile a 33 giri. Credits: Andrea Frova