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02 Lug 2020

Coronavirus: primo bilancio della app Immuni

Carla Petrocelli

Carla Petrocelli
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A circa un mese dal lancio dell’applicazione per il tracciamento dei contagi da Covid-19, Immuni (di cui abbiamo già descritto il funzionamento qui), avviata inizialmente nelle sole regioni Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia e poi estesa in tutta Italia, facciamo qualche bilancio.

 

Una app maschilista?

Il suo debutto è stato contrassegnato da numerose polemiche riguardanti il solito, vecchio, radicato stereotipo che è stato riproposto nella grafica scelta per pubblicizzare l’app: mentre l’uomo lavora al computer, rigorosamente in smart working, la donna, vestita di rosa, culla un neonato tra le sue braccia. Il caso ha spinto la ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti ad annunciare rapide modifiche, costringendo gli sviluppatori di Bending Spoons a rivedere la grafica. Risultato? I ruoli sono stati semplicemente invertiti e così dello scivolone sugli stereotipi non se n’è più parlato. A mio parere, da donna, mamma e lavoratrice, avrei trovato più appropriata l’immagine di una donna che guarda sì un computer ma che ha tra le sue braccia un neonato, che parla, contemporaneamente, al telefono in attesa di sistemare la spesa, pensando al pranzo e alla cena, alla lavatrice terminata, ai compiti del bambino più grande e alle medicine degli anziani genitori… ma tant’è!

 

Download e dati: i numeri della app Immuni

I numeri iniziali sono stati confortanti. In sole ventiquattr’ore Immuni è risultata l’app più scaricata, con un numero di download pari a 500 000. Ma questi stessi numeri non si sono registrati nei giorni successivi: secondo diversi osservatori, l’adozione da parte della popolazione è stata molto limitata e non ha rispettato le aspettative. Le motivazioni sono diverse, ma forse quella più significativa è da attribuire alla promozione e comunicazione poco chiara, proprio da parte del governo. Per rendere l’idea, l’omologa di Immuni tedesca, Corona-Warn-App, rilasciata molto più in ritardo rispetto all’Italia, ha registrato 6,5 milioni di download nelle prime ventiquattro ore. Questa applicazione, che ha molte affinità con Immuni, ovvero la non obbligatorietà a scaricarla, lo scambio di codici crittografati e casuali, lo stesso processo di notifica di esposizione e le stesse finalità, ha avuto questa evidente divergenza e ha tenuto un passo diverso anche nei giorni successivi. Una massiccia e significativa campagna di comunicazione, promossa dal governo di Berlino che ha fortemente coinvolto di tutti i media, ha probabilmente fatto la differenza.
Sul numero delle adesioni, in realtà, ha influito anche un altro dato. Immuni, teoricamente, doveva essere disponibile per qualsiasi tipologia e modello di smartphone ma, alcuni vincoli legati all’uso della tecnologia Bluetooth Low Energy (consumo ridotto della batteria del dispositivo) e alla cifratura dei dati, hanno richiesto dispositivi con versioni di sistema non precedenti alla 6 per Android e alla 13.5 per iOs, tagliando, evidentemente, fuori tutti i modelli più vecchi.

 

Tracciamento e privacy

Il ministero della Salute ha stabilito che, affinché venga inviata una notifica a un utente, il suo smartphone deve essere stato, per un tempo superiore ai 15 minuti e a una distanza al più di due metri, in contatto con il dispositivo mobile di un contagiato. Purtroppo, il Bluetooth non è nato con le finalità di tracciamento di distanze lineari, ne può quindi fornire soltanto una stima. Se l’app avesse a disposizione altri dati (come GPS o il Wi-Fi) potrebbe fare delle verifiche più precise che andrebbero però a danno della privacy. Questo spiega perché è fondamentale che il numero di utenti sia il più alto possibile, perché ciò consentirebbe che i dati acquisiti diventino “esperienza”, rendendo più affidabili le segnalazioni.
L’uso dell’app prevede inoltre il coinvolgimento dei medici di base e dei pediatri di libera scelta, soprattutto per quel che riguarda le segnalazioni, il monitoraggio e la gestione dei contatti: nel momento in cui un utente si avvicina a un soggetto positivo al Covid-19, riceve da Immuni un messaggio di allerta che lo invita a contattare il proprio medico di medicina generale che, a sua volta, si farà carico di avvisare il Dipartimento di prevenzione dell’Azienda Sanitaria Locale. L’obiettivo è quello di riuscire tempestivamente a tracciare i contatti e isolare possibili focolai di contagio.

 

Un caso particolare: la donna “prigioniera” a Bari

Data la bassissima circolazione del virus, le segnalazioni, a oggi, sono state pochissime. Tra queste, va senza dubbio riportato il seguente caso: nella giornata di sabato 20 giugno, La Gazzetta del Mezzogiorno in un suo articolo, titolava che l’app Immuni avrebbe fatto «prigioniera» una donna di Bari «costringendola» alla quarantena a seguito di una notifica di un rischio di contatto. Ricordiamo, di nuovo, che i protocolli prevedono che i cittadini a cui viene recapitata una notifica possono, sempre su base puramente volontaria, decidere se seguire o meno i consigli forniti dall’applicazione, ovvero allertare il medico di base. Prevale, dunque, il senso civico di ognuno per proteggere se stessi e gli altri.
Il titolo trasmette, invece, solo la rabbia di un utente vittima di «un algoritmo impazzito»: «Non riesco a tollerare questa limitazione della libertà – si è sfogata la signora – pensavo di vivere in uno Stato democratico non in Corea del Nord. Sono agli arresti, ma senza aver avuto nemmeno diritto a un regolare processo. L’esperienza mi è bastata: l’ho disinstallata e ho consigliato a parenti e amici di fare altrettanto».
Sarebbe stato sufficiente leggere le FAQ presenti sul portale ufficiale dell’applicazione dove, tra l’altro, sono spiegate molto bene anche le questioni relative alle distanze e agli intervalli di tempo. Ancora una volta il “titolo a effetto” è stato il punto di non ritorno dei commenti inappropriati e delle notizie fuorvianti date non soltanto dal cittadino poco informato, ma anche da chi, tra un selfie e una ciliegia, non ha perso tempo per far sapere che “non scaricherà proprio nulla”.
Fa piacere, per fortuna, constatare la sensibilizzazione di tutta la comunità scientifica che con forza e con ogni mezzo a disposizione ha fortemente sostenuto l’importanza di questo strumento.
Nel malaugurato caso in cui ci fossimo trovati a contatto con la signora barese, che ha immediatamente disinstallato l’app consigliando a tutti di farlo, e nell’ancora più preoccupante situazione che la signora fosse risultata positiva a Sars-Cov-2, non avremmo neanche avuto il beneficio di scegliere se cautelare noi e i nostri cari a una eventuale possibilità di contagio.
Rimaniamo in attesa del vaccino… ho però la sensazione che rivivremo un film già visto.

Carla Petrocelli
Carla Petrocelli
Carla Petrocelli insegna Storia della rivoluzione digitale presso l'Università di Bari. Studiosa del pensiero scientifico moderno, si è specializzata nell'evoluzione del calcolo automatico focalizzando l'attenzione sul rapporto tra uomo e tecnologia e sulle sue ripercussioni antropologiche. È autrice di numerosi contributi scientifici dedicati alla storia dei linguaggi di programmazione e ai protagonisti dell'informatica.
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