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06 Ago 2024

Visione sott’acqua

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Gli occhi degli animali sanno adattarsi a diversi tipi di ambienti: in aria, in acqua e in alcuni casi fortunati anche in entrambe le situazioni. Noi umani, senza opportuni occhiali, sott’acqua siamo messi del tutto fuori gioco. Le immagini si vedono confuse e si perde la sensazione della distanza dagli oggetti.

Come fanno allora i pesci e i mammiferi acquatici a cavarsela tanto bene? E che dire degli uccelli tuffatori (e nuotatori) che vedono sia nell’aria che sott’acqua? Certi volatili scendono in picchiata da grande altezza perché avvistano un pesce che nuota, penetrano nel liquido come dei siluri arrivando vicino alla preda – anche a decine di metri di profondità – e lo inseguono nuotando con le ali. Noi esseri umani abbiamo invece bisogno di un paio di occhialetti o di una maschera da subacqueo, senza i quali saremmo poco meno che ciechi. Come vanno allora le cose?

 

L’occhio umano

L’occhio è un sistema ottico centrato, dove si allineano la cornea, un rivestimento trasparente, e il cristallino, lente costituita da un liquido acquoso, i quali hanno il compito di focalizzare sulla retina l’oggetto osservato. Questa si incarica di tramutare la luce in segnali neurali diretti al cervello: l’immagine è nitida soltanto se all’esterno dell’occhio c’è dell’aria, e all’interno, dopo le lenti biologiche cornea e cristallino, del liquido acquoso, l’umor vitreo. Se l’oggetto sta a meno 10 centimetri dall’occhio, la focalizzazione non è più possibile, come non lo è in presenza di difetti della visione, quali miopia, ipermetropia, astigmatismo.

 

Le lenti flettono i raggi luminosi rispetto alla loro direzione di provenienza grazie al fenomeno della rifrazione, che trae origine dalla differente velocità della luce nei diversi mezzi. Vmezzo è data dal rapporto tra la velocità nel vuoto c = 300 000 km/s e l’indice di rifrazione nmezzo. L’effetto è osservabile quando vediamo un remo immerso nell’acqua o un gambo di fiore in un vaso di vetro, che sembrano spezzati. La velocità della luce nel mezzo scende a 300 000/nacqua = 230 000 km/s.

La ben nota legge “dei seni” di Cartesio afferma che tale fatto si traduce in una variazione della direzione del raggio tale che:

sin(I)/sin(R) = Varia/Vacqua = nacqua/naria

(il seno dell’angolo di incidenza I nell’aria e di quello di rifrazione R nel liquido stanno fra loro come le rispettive velocità della luce, ovvero come il reciproco dei rispettivi indici di rifrazione). Combinando insieme diverse superfici di separazione tra mezzi diversi si costruiscono lenti aventi tutte le proprietà che si possono desiderare.

Maschera subacquea

Tuffiamoci adesso in acqua. Il mezzo esterno è più denso dell’aria e ha un indice di rifrazione attorno a 1,3. La nostra lente ottica risulta modificata: smette di deviare i raggi, in quanto tutti gli elementi che compongono il nostro occhio – acqua, cristallino, umor vitreo – hanno circa lo stesso indice di rifrazione. La focalizzazione sulla retina non può più aver luogo. Per ripristinarla si deve ricorrere a un attrezzo – maschera o occhialetti – che ristabilisca uno strato d’aria tra la cornea e il liquido esterno. Se la maschera è dotata di un vetro di chiusura piatto, la visione torna quella normale, se invece è bombato, le immagini possono risultare, a seconda della curvatura, ingrandite o rimpicciolite, giacché il diottro acqua-aria agisce da lente aggiuntiva.

 

Animali acquatici

Consideriamo anzitutto gli uccelli tuffatori. Vi sono diversi modi con cui la natura ha fornito alle varie specie una duplice capacità di visione, per cui possono fare a meno della maschera subacquea (benché alcuni – come i pellicani e le sterne – vadano alla cieca, cioè individuino il pesce dall’alto e poi si affidino alle correzioni di tuffo che possono operare finché sono fuori dall’acqua).

Altri uccelli acquatici hanno invece una visione anfibia. In certi pinguini, la cornea è quasi piatta, per cui il suo ruolo rifrangente è minimo e il passaggio dall’aria all’acqua è poco avvertibile. I cormorani, le anatre e altri uccelli tuffatori, invece, compensano la perdita di rifrazione a carico della cornea grazie a una eccezionale capacità di accomodamento del cristallino, che è tanto malleabile da bombarsi e accorciare la distanza focale fino a 2 centimetri. Per contrazione del muscolo ciliare agente sul cristallino, quest’ultimo può essere spinto a premere contro l’iride, protrudendo oltre la pupilla. La zona centrale si ingrossa, garantendo un efficiente meccanismo di rifrazione.

 

Nei pesci, i veri abitanti delle acque, il meccanismo è ancora diverso, in particolare perché essi si trovano talvolta a nuotare tenendosi in superficie. Qui si ha a che fare addirittura con due retine, una che riceve i raggi inferiori provenienti dall’acqua, l’altra quelli superiori che arrivano dall’aria. Il cristallino ha una speciale forma a uovo, ossia è più bombato dalla parte dell’acqua per un maggiore potere focalizzante e più snello dalla parte dell’aria, dove viene coadiuvato dalla rifrazione associata alla cornea.

 

Immagine di copertina: Freepik

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).
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