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20 Apr 2020

La fisica del curling

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Gli sport su ghiaccio sono delle miniere di leggi fisiche. Dal pattinaggio artistico, ritmico e di velocità, alle corse vertiginose degli slittini e dei bob, dalla rude aggressività dell’hockey all’esemplare curling, il nordico gioco basato sullo scivolamento di pietre.

L’acquaplaning e gli sport su ghiaccio

Anzitutto, perché si scivola sul ghiaccio? Ci sono almeno due fattori che rendono possibile lo scivolamento. Il primo meccanismo, in genere più importante, è la produzione di calore dovuta all’attrito da sfregamento sul fondo ghiacciato da parte del mezzo mobile, come sci, lamine di pattini, slittini e bob. Il calore induce la fusione rapida del ghiaccio nella zona di contatto, con formazione di un sottile velo d’acqua che funge da lubrificante, perché le forze intermolecolari che si esercitano tra la fase liquida e i solidi che toccano il velo liquido sono deboli (effetto di aquaplaning). Più alta è la velocità del mezzo meccanico, più efficace è lo scivolamento.
Lo sviluppo di calore per attrito è il meccanismo dominante nello sci. Quando invece si tratta di pattini o lamine, entra in gioco anche l’effetto della pressione. Il peso degli atleti insiste sopra un’area sottile, quindi esercita una forte pressione. Ciò, per la legge di Clausius-Clapeyron, abbassa il punto di fusione del ghiaccio sotto lo zero. Si calcola che la pressione del filo della lama dei pattini è dell’ordine di 1000 atmosfere, e ciò comporta un abbassamento del punto crioscopico di oltre 7 gradi, quanto basta perché scenda sotto la temperatura a cui è tenuta la pista.

Cos’è il curling e quando è nato

1a figura

Il curling è nato molto probabilmente in Scozia nel Cinquecento, ma v’è chi parla di Fiandre (si veda ad esempio il quadro Cacciatori nella neve di Bruegel il Vecchio) oppure di Baviera. Si può assimilare a un gioco di bocce, salvo che invece di rotolare le “bocce” scivolano sul fondo di ghiaccio. Esse sono delle pietre circolari (“stones”) fatte di granito di particolare durezza, del peso di 20 kg, con la base scavata in modo che l’appoggio sul ghiaccio avvenga solo lungo l’anello perimetrale, largo circa 1 cm. Le pietre sono sormontate da una maniglia che serve per “lanciarle”. Si tratta di far entrare le pietre in una zona circolare di 12 piedi di diametro, detta “house”, avvicinandosi il più possibile al suo centro (“button”). Si gioca con otto pietre per squadra e si va a punto o si boccia la pietra degli avversari. Nella figura che segue sono mostrati tre possibili punteggi, in cui vince il giallo, vince il celeste, si pareggia (le pietre esterne alla “casa” non fanno punteggio, gli anelli colorati servono sono a facilitare il giudizio sulle distanze dal centro).

 

Perché si chiama curling?

Da dove viene il nome “curling”? Verrebbe da pensare che sia legato all’incurvamento – “curling” appunto – delle traiettorie percorse dalle pietre, alle quali nella spinta viene impressa una rotazione: per via dell’attrito sul ghiaccio, la rotazione dà luogo a tragitti non rettilinei. V’è tuttavia chi sostiene che il nome sia legato alla parola scozzese “curr” (lieve rombo) e descriva quindi il rumore prodotto dalle pietre in corsa. In effetti, il piano ghiacciato non è liscio, perché viene previamente spruzzato con acqua, la quale produce delle perline di ghiaccio sulle quali la pietra può correre con meno attrito per la ridotta area di contatto, ma in qualche modo rullando.

 

Le scope da curling: a che servono?

Una componente fondamentale del gioco sono le scopette con le quali due compagni del lanciatore spazzolano freneticamente il cammino davanti alla pietra che avanza. Ai vecchi tempi, quando il gioco si faceva sui laghetti ghiacciati, le scopette servivano a eliminare detriti o foglie. Oggi esse svolgono un autentico ruolo scientifico, in quanto, generando calore, creano un velo d’acqua davanti alle pietre e permettono di ridurre l’attrito sul ghiaccio. Ciò determina due effetti: primo, si allunga il cammino della pietra, che può arrivare alla “casa” anche se il lancio è debole; secondo, si diminuisce l’effetto di “curling”, rettificando la traiettoria. Per questi motivi, il tipo di lancio e l’intensità di spazzolamento vanno studiati a fondo secondo le circostanze: per esempio, se si desidera bocciare una pietra avversaria protetta da un’altra, la traiettoria può solo essere curva.

2a figura

Bocciature ideali: come vincere nel curling

Per un fisico, osservare dall’alto le bocciature è un vero piacere dell’occhio. L’estrema durezza del granito e il trascurabile attrito al suolo fa sì che gli urti tra le pietre avvengano rispettando le leggi degli urti perfettamente elastici. Nessuna energia si perde in attriti o nella deformazione delle pietre, si hanno soltanto scambi di energia di movimento. Gli angoli d’uscita sono da manuale. Per esempio, un urto centrale di pietre non soggette a rotazione fa sì che la pietra urtante proietti fuori dalla “casa” quella urtata, arrestandosi sul posto. Un aspetto utile è che, data la lunghezza del tragitto – sui trenta metri – e la lentezza delle pietre, c’è tutto il tempo di seguire la traiettoria e fare congetture sull’esito del lancio, intervenendo se necessario con le scopette. Le bocciature multiple, tipo quella schematizzata in figura, offrono un esemplare viaggio nella meccanica classica. In un urto elastico tra masse eguali prive di rotazione l’angolo formato dalle direzioni di moto dopo l’urto è sempre di 90°.

3a figura

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).

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