Ogni tanto mi sento rivolgere la domanda: perché certe volte, quando scendo dall’auto e avvicino la mano alla maniglia metallica per chiudere lo sportello avverto una scossa elettrica, o addirittura vedo una scintilla scoccare tra le mie dita e il metallo? C’è qualche ragione per cui la macchina viaggiando si sarebbe caricata a un certo potenziale elettrico rispetto al suolo, così che io mi comporto da canale di scarica per la corrente elettrica? Si conoscono diverse varianti di questo effetto, che può aver luogo anche in casa, per esempio quando si tocca un rubinetto dopo aver camminato sopra una moquette di fibra sintetica. Alle spalle di questa spiacevole esperienza c’è uno dei fenomeni fisici più anticamente conosciuti, l’effetto triboelettrico.
Gli antichi Greci
L’osservazione di questo effetto risale addirittura a Talete di Mileto, uno dei sette saggi della Grecia, ossia millenni prima della scoperta delle cariche elettriche, dell’elettrone in particolare e del semplice concetto per cui si può caricare un metallo portandolo a un certo potenziale elettrico, o di farvi fluire della carica sotto forma di corrente di elettroni. Quindi, al tempo, nessuna spiegazione possibile.
L’effetto triboelettrico consiste nella capacità di una bacchetta di vetro di attrarre piccoli pezzi di carta previo strofinamento con un panno. Il comportamento opposto, cioè di respingere pezzetti di carta, è mostrato da una bacchetta d’ambra o di altre resine, sempre dopo che è stata strofinata con un panno. La parola elettricità nasce proprio dalla parola greca elektron per ambra; e la parola tribo proviene dal greco tribos, strofinamento.
La serie triboelettrica
In realtà ogni materiale ha la proprietà di trasferire per contatto e sfregamento della carica elettrica ad ogni altro materiale, secondo una “serie triboelettrica”, ovvero una graduatoria di “simpatia” per gli elettroni: se un materiale presente nella parte bassa della graduatoria viene messo a contatto con uno che sta nella parte alta, esso tende ad appropriarsi di elettroni, caricandosi negativamente. L’altro diviene allora carico positivamente poiché ad alcuni dei suoi atomi sono stati sottratti degli elettroni. Quanto più separati sono i due materiali nella serie triboelettrica, tanto più forte è il loro grado di caricamento.
Nella parte alta della graduatoria – con tendenza quindi a cedere elettroni – si trovano alcuni isolanti più o meno naturali come la pelle umana e il cuoio, il vetro, la mica. Nella parte bassa si trovano vari isolanti sintetici come il plexiglas, il polistirolo, il vinile, il teflon, oltre all’ambra e ad altre resine (ultima in graduatoria l’ebanite). Dunque, sfregando un opportuno panno, ad esempio di lana, con una bacchetta di vetro e una di ebanite, si ottengono comportamenti opposti: preso come riferimento zero il potenziale di terra, il vetro si porta a un potenziale positivo, l’ebanite (o il plexiglas) a un potenziale negativo.
La causa dell’effetto
Lo strofinamento magnifica l’effetto, ma il solo contatto dei due materiali sarebbe sufficiente perché abbia luogo il trasferimento di elettroni da una parte all’altra. Esso avviene perché i due materiali nella zona di contatto devono portarsi in condizioni di equilibrio e ciò comporta che i loro “potenziali elettrochimici” si eguaglino. È quasi impossibile definire il potenziale elettrochimico in poche parole, basterà dire che è un parametro termodinamico il quale, in un sistema costituito da più parti in equilibrio tra loro, deve essere ovunque lo stesso. Nel caso che ci interessa, tale pareggiamento nei diversi materiali a contatto si realizza proprio grazie al trasferimento di elettroni, per cui i due materiali si caricano con segno opposto e tra loro si instaura una debole forza attrattiva, quella che va sotto il nome di forza di adesione.
Una volta separate, le due bacchette rimangono in stato di caricamento per un certo tempo, fino a che le cariche non si sono gradualmente disperse nell’ambiente circostante; naturalmente, trattandosi di isolanti, le cariche si trattengono solo nei siti dove in precedenza è avvenuto il contatto. Avvicinate a delle briciole di carta, che in modo naturale recano sempre su di sé una certa dose di carica elettrostatica negativa, vale a dire elettroni raccolti dall’ambiente, le due bacchette rispettivamente le attirano (vetro) o le respingono (ebanite).
Se invece avviciniamo alle bacchette cariche un conduttore dotato di una certa “capacità” di accumulare cariche su di sé, è possibile dar luogo a una scarica elettrica che si manifesta sotto forma di scintilla. Ciò è ovviamente ancor più vero se il conduttore è connesso a terra. Tale tipo di scintilla è solitamente del tutto innocuo, giacché l’energia in gioco, per l’esiguità della carica elettrica, è particolarmente bassa. La scintilla può dare un certo fastidio fisico, tuttavia, quando scocca verso la punta delle dita, perché nella ristretta zona che attraversa può creare, sebbene per un tempo assai breve, un buon livello di corrente elettrica.
Il problema dell’automobile
È appunto la situazione descritta in apertura di questo discorso, ossia la scintilla tra le dita e la maniglia dell’auto dopo che si è messo piede a terra. Qui si hanno diverse condizioni per cui l’effetto triboelettrico può manifestarsi.
Anzitutto, l’attrito dell’aria sulla vernice (isolante) della carrozzeria di un’auto in corsa può caricarla per effetto triboelettrico fino a potenziali che possono toccare anche le migliaia di volt rispetto al suolo. Ciò soprattutto se il clima è molto secco – come nei deserti – per cui la dispersione delle cariche accumulatesi sulla vernice è alquanto rallentata dal fatto che l’aria asciutta presenta una bassissima conducibilità elettrica. Partendo da questo concetto, alcuni ritengono che la scintilla si produce perché la carrozzeria è carica, mentre non lo sono i passeggeri giacché, in un’auto chiusa, non sono soggetti al processo di caricamento da parte dell’aria. Scesi a terra, essi si comporterebbero da corpo parzialmente conduttore che come tale permette l’innesco della scintilla di scarica attraverso la maniglia metallica.
Ma tutto ciò è falso e vale esattamente il contrario! Se si analizzano le proprietà elettriche dei copertoni e della strada stessa si scopre che non sono abbastanza isolanti per impedire che, una volta che l’auto si è fermata, la carrozzeria scenda in poco più di un secondo al potenziale di terra, cioè a zero. La scintilla che scocca tra la mano e il metallo in tali circostanze è piuttosto da attribuire al fatto che sono i passeggeri stessi a trovarsi caricati a un certo potenziale rispetto al suolo per effetto del prolungato sfregamento dei loro abiti sul materiale dei sedili, meccanismo che si rivela molto efficace se questi sono in plastica, pelle o tessuti sintetici.
Con l’abbondanza di plastica che si trova all’interno delle auto odierne, la probabilità che i passeggeri disperdano le cariche che hanno addosso verso la carrozzeria – e di conseguenza al suolo – è pressoché nulla. Una volta che un passeggero è sceso a terra, il suo potenziale elettrico si mantiene per qualche tempo elevato, a meno che non stabilisca un buon contatto elettrico con il suolo, per esempio avendo i piedi nudi o indossando scarpe bagnate. La scintilla scocca dunque non perché sia l’auto a trovarsi a un potenziale elevato, bensì il passeggero.
Il rimedio
L’importante è provvedere a scaricarsi prima di scendere. A tal fine, si può toccare una parte metallica dell’auto poco dopo che si è fermata, in modo da portarsi al potenziale della carrozzeria, e pertanto a quello di terra. Naturalmente anche questo accorgimento non evita che della corrente elettrica passi da noi all’auto, ma l’effetto può essere controllato in modo da non nuocere. Per esempio, si può andare a toccare la parte metallica tramite una chiave, in modo che, se c’è scintilla, questa avvenga tra la chiave e la carrozzeria, evitando che la nostra pelle sia coinvolta; oppure si può toccare una parte verniciata dell’auto, ad esempio l’esterno della portiera: essendo la vernice piuttosto isolante, la corrente di scarica risulta attenuata e diviene relativamente impercettibile.