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20 Set 2021

Newton, l’etere e il concetto di “campo”

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Oggi parliamo di campi, ma diversi dai campi coltivati o da quelli di Venezia. Sulla presenza di campi attorno a noi, primi fra tutti quello gravitazionale e quello elettromagnetico – radio, televisione, cellulari, microonde – nessuno ha più dubbi: il termine “campo” fa parte ormai del comune vocabolario.

 

I campi elettromagnetici sono pericolosi?

Tanto che attorno alla natura e agli effetti di un campo elettromagnetico sono sorti innumerevoli miti. Per esempio, c’è chi sospetta che mangiare carne cotta in un forno a microonde possa essere pericoloso, c’è chi pensa che il solo avere dei cavi dell’alta tensione in vista fuori dalla propria finestra possa essere causa di malattie mortali. Se è vero che tutti noi siamo sempre immersi in campi elettromagnetici, è altresì vero che la loro intensità è talmente bassa da non creare problemi per la nostra salute.
    Di tutte queste forme di presunto “inquinamento” da campi elettromagnetici quasi nessuna trova supporto scientifico. Un’eccezione è forse quella dei cellulari, sorgenti di onde elettromagnetiche che si diversificano dalle altre per la loro vicinanza alla nostra testa. Infatti, dovendo emettere un segnale elettrico capace di raggiungere la più vicina antenna ricetrasmittente, in fase di conversazione telefonica il cellulare irradia microonde il cui campo elettrico è assai più elevato degli altri che ci avvolgono. L’energia dell’onda elettromagnetica emessa da un cellulare posto a due centimetri dal cervello lo investe con un’onda d’intensità 10 000 volte maggiore di quella che arriva alla distanza di due metri.

 

Cos’è un “campo” in fisica?

    Chi negherebbe mai, oggi, l’ubiquità di campi d’ogni genere – elettromagnetici, gravitazionali, termici, di pressione – che si estendono ovunque nello spazio, e che si manifestano come forze agenti su un opportuno corpo di prova, ponendolo ad esempio in movimento? La mela di Newton, che cade a terra se abbandonata a se stessa, rivela l’ubiqua presenza del campo gravitazionale. Così, un campo elettrico si manifesta perché pone in accelerazione un corpo elettricamente carico. Il campo a microonde cui rispondono i cellulari è costituito da un enorme miscuglio di campi oscillanti in propagazione, ossia onde elettromagnetiche di varia frequenza che corrispondono a tutte le conversazioni percepibili nel punto in cui ci troviamo. Noi però non ce ne rendiamo conto, a meno di sintonizzare il cellulare su una particolare delle molte frequenze simultanee che lo investono.
    Ho citato Isaac Newton perché, in fatto di gravitazione, fu tra i primi ad accettare l’idea di una forza agente a distanza in tutti i punti dello spazio, qualcosa che, appunto, in tempi moderni si sarebbe sviluppata nel concetto di “campo”. Affidandosi all’azione di una forza che operava istantaneamente anche nel vuoto e che decadeva con l’inverso del quadrato della distanza dalla sorgente, egli scrisse le equazioni gravitazionali che davano la corretta descrizione del moto dei pianeti e della Luna, secondo le leggi scoperte da Keplero.

 

L’ipotesi dell’etere

    Eppure erano tempi in cui pressoché tutti i fisici rifiutavano l’idea che un corpo potesse agire a distanza nei confronti di un altro senza il tramite di mezzi materiali che trasferissero una spinta di natura meccanica. Ma come metterla nel caso del vuoto interplanetario? I fisici attribuirono tale ruolo a un mezzo ideale, analogo all’etere aristotelico, impalpabile sostanza che avrebbe pervaso tutto lo spazio, sia il vuoto, sia la materia reale nei suoi inevitabili interstizi. Nel secolo del trionfante meccanicismo, l’idea di azione a distanza aveva un sapore di occulto, di magico, e andava quindi rigettata.
    Inizialmente, Newton aveva accettato il modello meccanicistico dell’etere, ma poi si era convinto che la presenza di tale sostanza era una mera fantasia, in quanto essa non avrebbe potuto agire sulla materia senza produrre effetto alcuno sui nostri sensi. Era gioco dunque accogliere la possibilità di un’azione a distanza, anche nel vuoto, pur se al momento, fedele alla sua celebre frase «hypotheses non fingo», Newton non si pronunciò sulla sua la origine e natura.
    Sulla scorta di idee cartesiane, Isaac Newton aveva tentato all’inizio di trovare una giustificazione alle teorie che si fondavano sull’etere. L’etere sarebbe stato assai più denso nello spazio “vuoto” che non all’interno di corpi, o in prossimità degli stessi. Come conseguenza, esso avrebbe avuto la tendenza a spostarsi dalle zone di più alta densità a quelle di minor densità, come fa un gas libero di espandersi. E avrebbe trascinato con sé ogni particella materiale: i corpi sarebbero stati quindi sollecitati a passare dalle parti dove il mezzo etereo era più denso, ossia lontano da altri corpi, a quelle dove era più rarefatto, ossia vicino ad altri corpi.
    Così, un corpo sospeso sopra la Terra sarebbe caduto verso il basso perché l’etere era ritenuto tanto meno denso quanto più ci si avvicina al pianeta. All’osservatore, ciò sarebbe apparso come un effetto risultante da una forza attrattiva della massa terrestre nei confronti di quella del corpo. Una rappresentazione, questa, che non persuase Newton più di tanto, spingendolo a preferire l’idea di un’azione a distanza, anche se ciò implicava l’ostilità del mondo scientifico.

Il tempo di propagazione
    Era una vaga anticipazione del concetto di “campo”, a parte l’assunzione dell’istantaneità. Il tempo per introdurre tale concetto divenne maturo soltanto nell’Ottocento ad opera soprattutto di Michael Faraday e poi di James Maxwell, e consentì il superamento delle obiezioni sollevate contro l’azione a distanza. L’effetto del campo non è istantaneo, ma implica un tempo finito perché la perturbazione passi dalla sorgente al corpo influenzato. Il campo elettromagnetico e quello gravitazionale, ad esempio, si propagano alla velocità della luce: se il Sole dovesse d’improvviso scoppiare, noi ce ne accorgeremmo dopo circa otto minuti. E questo, oggi, lo sanno anche i bambini.

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).
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