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14 Nov 2016

Pokémon Go! e il lato oscuro della realtà aumentata

Stefano Crabu

Stefano Crabu
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Torniamo ancora a parlare dei Pokémon Go! Dopo i toni trionfalistici che ne hanno accompagnato il lancio, la app per smarthphone consacrata alla caccia di “mostri metropolitani” sembra non riuscire più a guadagnare quell’entusiasmante interesse manifestato dagli utenti nel corso dei mesi scorsi.

Torniamo ancora a parlare dei Pokémon Go! Dopo i toni trionfalistici che ne hanno accompagnato il lancio, la app per smarthphone consacrata alla caccia di “mostri metropolitani” sembra non riuscire più a guadagnare quell’entusiasmante interesse manifestato dagli utenti nel corso dei mesi scorsi. Nonostante inizi ad assumere i contorni di una veloce “meteora tecnologica”, il fenomeno Pokémon Go ci consegna comunque degli elementi di riflessioni importanti per quanto riguarda i possibili sviluppi e retroscena delle tecnologie basate sulla realtà aumentata.

Come abbiamo documentato in una passata rubrica, il gioco Pokémon Go nel corso dell’estate si è rivelata una gallina dalle uova d’oro, battezzando il successo definitivo di un modello di business basato sulle micro-transazioni. L’attuale amministratore delegato di Niantic è John Hanke, fondatore della Keyhole, un’impresa leader nella elaborazione grafica di dati geospaziali che hanno reso possibile lo sviluppo di Google Maps e Google Earth. Il gioco è scaricabile gratuitamente, benché incoraggi i giocatori all’acquisto con denaro reale di strumenti necessari per giocare, così da rendere l’esperienza più ricca e avvincente. Le transazioni possono variare da pochi centesimi alle decine di dollari. La strategia di Pokémon Go è quindi quella di monetizzare il tempo trascorso dai players nella caccia dei Pokémon. In questo modo, i milioni di Pokémon catturati equivalgono ai milioni di utili fatturati in questi mesi dalla Niantic.  

Le critiche ai giochi della realtà aumentata

Benché queste transazioni vengano condotte in modo del tutto volontario dagli utenti, permane un aspetto troppe volte taciuto, e che riguarda il costante monitoraggio degli spostamenti di chi prende parte al gioco. In uno scenario in cui le istituzioni governative nazionali e internazionali fanno fatica a introdurre un quadro normativo capace di regolare l’utilizzo dei dati forniti dagli utenti attraverso l’uso del loro smartphone, è bene chiedersi che utilizzo possa fare la Niantic delle dettagliatissime tracce dei nostri movimenti quotidiani. Non possiamo poi dimenticarci che “aumentare la realtà” è una attività tecnologica complessa, che risponde a preferenze e sistemi di giudizio del tutto umani, e quindi specifici di chi la realizza. I critici di questa tecnologia mettono in guardia sul fatto che la realtà aumentata che ci offre Niantic riduce gli spazi urbani a un mega parco giochi, facendo spesso dimenticare i conflitti e le tensioni che impregnano il governo delle città contemporanee. Piuttosto, il conflitto viene assimilato dentro alla dinamica del gioco stesso, per poi essere messo in scena dentro a palestre virtuali in cui gli utenti costruiscono la loro reputazione in base all’esperienza organizzando combattimenti fra bizzarre creature.  

 
Una società fatta di contraddizioni, anche tecnologiche

Questa contraddizione è emersa con potenza nel corso dell’estate, quando attivisti siriani hanno utilizzato lo slogan “Salvate noi non i Pokemon” (vedi foto) per denunciare il disinteresse da parte delle organizzazioni governative internazionali verso le drammatiche condizioni di milioni di profughi generati dal conflitto armato in Siria. Quegli stessi profughi che sempre più spesso vediamo respinti con violenza dalle nostre città, trasformate ora da Niantic in speciali oasi per Pokemon, ma allo stesso tempo luoghi sempre meno ospitali per chi chiede accoglienza e asilo. Certo, non è colpa di un videogioco se l’Europa non riesce a gestire i flussi di persone che cercano un futuro migliore nel nostro continente. Ciò che conta, invece, è essere consapevoli dei problemi e dei limiti delle tecnologie, nel caso dei Pokemon come in quello recentemente discusso sui pericoli dei social network.

Stefano Crabu
Stefano Crabu
Sociologo dell'Università di Padova, fa ricerca sul tema dell’innovazione tecnoscientifica, con particolare attenzione al rapporto tra biomedicina, tecnologie e società. Collabora con STS Italia (Società Italiana per lo Studio della Scienza e della Tecnologia), e fa parte del comitato di redazione della rivista Tecnoscienza: Italian Journal of Science & Technology Studies.
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