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15 Ott 2014

Alluvionati

Alina Polonia

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L’alluvione di Genova, evento fotocopia di quello avvenuto non più tardi di tre anni fa, ha rimesso al centro dell’attenzione pubblica il problema del dissesto idrogeologico del nostro Paese. L’Italia, si sa, ha una fisiografia complessa, dovuta principalmente al fatto che è un territorio geologicamente giovane e molto attivo.

L’alluvione di Genova, evento fotocopia di quello avvenuto non più tardi di tre anni fa, ha rimesso al centro dell’attenzione pubblica il problema del dissesto idrogeologico del nostro Paese. L’Italia, si sa, ha una fisiografia complessa, dovuta principalmente al fatto che è un territorio geologicamente giovane e molto attivo. 

 

Un Paese ancora in “formazione”

Il processo di formazione degli Appennini, la “spina dorsale” della Penisola, è tuttora in corso, come testimoniano i recenti terremoti dell’Aquila (2009) e dell’Emilia (2012). Questo causa la formazione di rilievi montuosi e collinari costituiti in prevalenza da rocce sedimentarie relativamente friabili, che sono erosi e destabilizzati da corsi d’acqua a regime torrentizio.  Questa situazione “endemica” è stata acuita negli ultimi anni da processi antropici diversissimi tra loro che agiscono e una scala temporale molto più rapida della lenta modellazione geologica del territorio. Da un lato, la cementificazione del territorio a danno dei terreni agricoli e boschivi riduce l’infiltrazione delle precipitazioni e aumenta l’instabilità dei versanti, dall’altro, i cambiamenti del clima causati dall’aumento dei gas serra industriali rendono il Mediterraneo un bacino in via di tropicalizzazione. Entrambi questi fattori sono misurabili alla scala di una vita umana e si sono sovrapposti in modo destabilizzante alla fragilità di un territorio come il nostro che ha vissuto eventi simili in un passato vicino e lontano, obbligandoci a una convivenza spesso difficile. 

Tutto questo è abbastanza noto e richiede azioni e scelte a medio e lungo periodo che ci siamo resi conto di non poter chiedere alla politica, che sempre di più vive sul consenso di elettori dalla memoria molto corta. E’ chiaro quindi che la gestione del territorio deve essere sempre di più partecipata, coinvolgendo le persone che sul territorio vivono, e che con esso hanno un rapporto intimo e quotidiano, ma che molto spesso non hanno gli strumenti culturali per giudicare eventuali soluzioni.

 

Una questione culturale

E allora, come è il caso di molti altri problemi che affliggono il nostro Paese, diventa una questione culturale. Dobbiamo renderci conto che stiamo “segando il ramo” sul quale viviamo e che dobbiamo cambiare rotta. Questo, non esime noi e gli amministratori dal mettere in campo tutte le azioni urgenti per la mitigazione dei rischi ambientali (manutenzione ordinaria e straordinaria dei corsi d’acqua, monitoraggio delle opere idrauliche, verifica della stabilità dei versanti, etc.) ma con una visione di prospettiva, che metta il territorio dove viviamo, le sua peculiarità, la sua vocazione, la sua storia sociale e naturale, al primo posto nella scala dei nostri valori.
Troppo spesso, e soprattutto in questi ultimi venti anni, in controtendenza rispetto ad una aumentata coscienza ambientale, la cosiddetta “riqualificazione” delle aree urbane ha coinciso con una cementificazione senza regole o con regole profondamente sbagliate a vantaggio di interessi miopi, immediati e individuali. E’ il caso di Genova, ma di moltissime altre realtà urbane e suburbane del nostro Paese.

Alina Polonia
Alina Polonia
Geologa e ricercatrice presso l'Istituto di Scienze Marine (ISMAR-CNR) di Bologna dove si occupa di geologia marina. I suoi interessi principali sono lo studio dei margini continentali e la geologia dei terremoti sottomarini.
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