18 Gennaio 2017: almeno 4 forti scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5 hanno colpito nuovamente l’Italia centrale, ultimo episodio di una sequenza che appare interminabile, iniziata a L’Aquila nel 2009 e proseguita con Amatrice-Accumuli-Norcia nel 2016.
18 Gennaio 2017: almeno 4 forti scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5 hanno colpito nuovamente l’Italia centrale, ultimo episodio di una sequenza che appare interminabile, iniziata a L’Aquila nel 2009 e proseguita con Amatrice-Accumuli-Norcia nel 2016.
Quali zone si sono attivate?
Le strutture tettoniche che si sono attivate in tutti questi casi interessano un settore della dorsale Appenninica dislocato da un sistema di faglie estensionali della lunghezza complessiva di quasi 100 km, che reagisce all’avanzamento della catena verso l’Adriatico estendendosi e collassando a tassi di qualche millimetro all’anno. Purtroppo, questi sforzi tettonici non vengono dissipati da deformazioni continue che risulterebbero impercettibili e non farebbero danni, ma si accumulano negli anni e nei secoli fino a quando non viene raggiunto e superato un limite di resistenza all’attrito fra le masse rocciose che innesca il terremoto. Il movimento relativo tra i blocchi durante un singolo evento condiziona lo stato di equilibrio dei segmenti di faglia adiacenti, che a loro volta possono rompersi in un evento successivo. Il problema è che non possiamo dire se questo accadrà in ore, giorni, anni, secoli o millenni. Per quello che sappiamo, questa è una situazione normale in un territorio caratterizzato da elevata pericolosità sismica come l’Italia centrale.
Il rischio sismico
La difficoltà di considerare i forti terremoti come eventi possibili, se non probabili, in territori a forte rischio sismico, risiede nel fatto che i loro tempi di ricorrenza sono spesso molto lunghi e irregolari, e i loro effetti lasciano tracce imprecise nella memoria storica. Questo contribuisce a creare un senso generale di impotenza e fatalità. E’ difficile sottolinearlo in momenti drammatici come questo, ma non dobbiamo dimenticare i progressi, alcuni molto recenti, nello studio dei fenomeni sismici. Sebbene infatti non possiamo ancora (e forse non potremo mai) fare previsioni deterministiche (luogo, data, ora) per ogni specifico evento, siamo in grado di individuare con sorprendente precisione le strutture sismogenetiche attive e indicarne il livello di pericolosità, che naturalmente dipende dalla massima magnitudo attesa, ma anche da altri fattori, come la composizione del terreno e la densità e qualità delle costruzioni. Possiamo per esempio notare, che se l’intero settore Appenninico interessato da questa sequenza a partire dal 2009 si fosse attivato in un unico evento, si sarebbe generato un terremoto di magnitudo molto maggiore di quelli effettivamente registrati, probabilmente di alcune decine di volte superiore in termini di energia.
Le misure da prendere
E’ evidente che tutto questo è di poca consolazione per chi è stato colpito così duramente e ha perso tutto, ma dobbiamo tenerne conto per affrontare razionalmente la situazione. Sono due le strade da imboccare. Prima di tutto occorre migliorare la nostra conoscenza delle strutture geologiche in grado di generare forti terremoti; quindi, stabilire le priorità per mettere in sicurezza il territorio basandosi sulle stime di vulnerabilità sismica a scala locale. Tutto questo richiede risorse, che sono però molto inferiori se viste in prospettiva a quello che abbiamo già speso per affrontare le varie emergenze.
