“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Le parole dello scrittore Marcel Proust ben delineano lo spirito dei nostri studi: insieme a un nutrito gruppo di colleghi dell’Osservatorio Vesuviano e dell’Osservatorio Etneo, e con due docenti delle Università di Catania e di Salerno, abbiamo analizzato i segnali acquisiti dalle reti di monitoraggio INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) presenti sull’isola di Stromboli da una nuova prospettiva, che ci ha permesso di individuare caratteristiche “nascoste”.
Parossismi: cosa sono e l’importanza di prevederli
Tali caratteristiche si sono rivelate una chiave d’accesso alla comprensione di mutamenti nello stato del vulcano, mutamenti che annunciano “instabilità” (in gergo tecnico unrest) e capaci di evolvere verso fenomeni a elevato rischio, chiamati parossismi. Questo termine viene utilizzato per identificare quelle (per fortuna rare) esplosioni di grande intensità ed energia, tipiche dello Stromboli e di altri vulcani a condotto aperto, capaci di proiettare lapilli e blocchi di lava molto oltre l’orlo craterico, fino a colpire i villaggi alla base del vulcano, dove risiedono, soprattutto d’estate, moltissime persone.
Tali fenomeni sono estremamente pericolosi per gli escursionisti che, giornalmente, si recano nell’area sommitale dello Stromboli per osservare le tipiche esplosioni ricorrenti e di bassa intensità tipiche di questo vulcano (non a caso si parla universalmente di “attività stromboliana” per descrivere fenomeni del genere). Studi precedenti avevano mostrato come i pochi segnali capaci di preannunciare l’accadimento di un parossismo contengano variazioni significative solo qualche minuto prima della fenomenologia, lasciando tempi limitati alle persone per mettersi in salvo dalla ricaduta di blocchi e lapilli incandescenti.
Nel nostro lavoro, l’avere “nuovi occhi” ci ha permesso di identificare anomalie nei parametri usualmente utilizzati nelle sale operative dell’INGV deputate al monitoraggio dei vulcani attivi almeno un paio di settimane prima del parossismo del 3 luglio 2019; la presenza di queste anomalie, giustificabile con il nuovo modello vulcanologico proposto, non può essere altro che un segnale di una modifica in atto, rispetto alla normale attività dello Stromboli.
Quali sono i “campanelli d’allarme”?
Il nostro punto di partenza di questo “nuovo viaggio” sono state delle anomalie individuate nei dati dei dilatometri, strumenti di altissima precisione dedicati al monitoraggio delle deformazioni del suolo e posti in fori profondi 200 metri. Questi strumenti oltre a rivelare, nei minuti che precedono il parossismo, delle interessanti variazioni, già note nella letteratura scientifica, mettono in luce delle peculiari caratteristiche di una ben conosciuta classe di eventi sismici a bassa frequenza, tipici dei vulcani, chiamati VLP (Very Long Period) e associati alla risalita di grandi bolle di gas all’interno del magma.
Un’attenta ispezione di questi segnali ha rivelato un improvviso e netto cambiamento nella loro “forma” circa quattro settimane prima del parossismo. Anomalie concomitanti, presenti nei dati di vari strumenti (telecamere, tiltmetri, stazioni GPS, immagini termiche satellitari), hanno reso possibile identificare due diversi periodi, precedenti al parossismo del 3 luglio, durante i quali il vulcano Stromboli si trovava in un particolare stato.
In alto le due “famiglie” di eventi VLP osservate per mezzo del dilatometro. Nel grafico sottostante si evidenza la marcata variazione nel numero di eventi e nella tipologia di queste “famiglie”, accaduta nelle settimane precedenti il parossismo del 3 luglio 2019.
Push and go: il modello per prevedere le esplosioni vulcaniche
Tali dinamiche vengono ben delineate dal modello concettuale proposto nel nostro lavoro, chiamato push and go (spingi e vai). Questo modello propone l’esistenza di due differenti magmi che riempiono la parte terminale del condotto di un vulcano come lo Stromboli: una zona sottostante estremamente ricca di gas e con una modesta percentuale solida; e una soprastante più densa, costituita da magma che via via (anche per la continua azione dei gas sottostanti) tende a cristallizzare e a ostruire il condotto, creando un vero e proprio “tappo”.
In questa figura si riassume il modello che abbiamo chiamato push and go. In una fase iniziale i due magmi a diversa densità si trovano in una sorta di equilibrio. Il successivo aumento del flusso di gas determina una maggiore cristallizzazione del magma superiore e una conseguente diminuzione di permeabilità, che successivamente porterà alla violenta esplosione.
In questo modello (qui estremamente semplificato) il parossismo avviene quando la pressione del magma più ricco di gas è tale da rompere la “barriera” costituita dal magma parzialmente cristallizzato soprastante, scaraventando con violenza all’esterno l’intero “tappo” e parte del magma sottostante. I vulcanologi da molto tempo conoscono, infatti, i due differenti tipi di prodotti eruttati durante i parossismi (chiamati “il biondo” e “il bruno” per il loro colore), compatibili con un meccanismo di questo genere.
Seguendo tale modello concettuale, il cambiamento nella forma dei segnali VLP, registrato nei dati dei dilatometri, è correlato con un progressivo cambiamento nei parametri viscoelastici del magma, contenuto nella parte del condotto vulcanico più superficiale, che ha reso estremamente difficile, nell’ultima settimana prima dell’evento parossistico, il passaggio del gas. Durante questo periodo si sono, dunque, create le condizioni tali da portare il sistema al verificarsi del fenomeno parossistico.
Certamente, prima che tale metodo multiparametrico di analisi dati diventi uno strumento di monitoraggio di routine, altre osservazioni, magari su esplosioni di scala minore, dovranno essere compiute e parametrizzate. A nostro avviso, queste evidenze possono aprire però un nuovo modo di concepire e organizzare le attività di monitoraggio dell’attività esplosiva dello Stromboli.