Il terremoto di magnitudo 7.5 del 28 settembre 2018, con ipocentro a terra nei pressi di Palu (isola di Sulawesi, Indonesia) a una decina di chilometri di profondità, ha causato uno tsunami e un numero di vittime ancora imprecisato, sicuramente oltre il migliaio.
Il terremoto di magnitudo 7.5 del 28 settembre 2018, con ipocentro a terra nei pressi di Palu (isola di Sulawesi, Indonesia) a una decina di chilometri di profondità, ha causato uno tsunami e un numero di vittime ancora imprecisato, sicuramente oltre il migliaio. Si è trattato con tutta probabilità di una rottura lungo una faglia di tipo trascorrente, con movimento soprattutto orizzontale. L’Indonesia orientale è una zona tettonicamente complessa, caratterizzata dalla presenza di numerose micro-placche che stanno accomodando la convergenza su larga scala tra le placche Australiana, della Sonda, del Pacifico e delle Filippine.
Non è ancora chiaro perché un terremoto con queste caratteristiche abbia causato uno tsunami così distruttivo. Per generare l’onda di tsunami sono necessarie infatti deformazioni verticali del fondale marino, che richiedono meccanismi di movimento lungo le faglie diversi rispetto allo scorrimento orizzontale ricostruito per questo terremoto. È quindi molto probabile che lo scuotimento sismico abbia innescato una o più frane sottomarine, come potrà essere verificato attraverso rilievi geologici marini di dettaglio.
Sembra che l’allarme tsunami, che inizialmente era stato lanciato sulla base delle indicazioni sismologiche dei primi minuti dal sisma, sia stato improvvidamente ritirato poco prima dell’arrivo dell’onda di maremoto. Se verificata, questa occorrenza farà senz’altro discutere i gestori delle reti di cosiddetto “early warning” che sono state installate nell’area e in giro per il mondo dopo il catastrofico tsunami indonesiano del Natale 2004.
Da questi accadimenti deriva una considerazione generale: sebbene siano strumenti fondamentali, le reti di monitoraggio da sole non bastano. In casi come questi, in una regione costiera dovrebbe essere chiaro alla popolazione che dopo un forte terremoto, che scatti o meno il sistema di allerta, occorre allontanarsi al più presto dal mare e aspettare per diverse ore in zone topograficamente elevate.
In Italia la notizia del nuovo tsunami indonesiano è passata sotto silenzio nell’immediatezza dell’evento, per essere ripresa e commentata solo dopo qualche giorno, in controtendenza rispetto alla maggioranza dei media internazionali. Che sia provincialismo o disattenzione non è comunque un buon segnale, in un Paese come il nostro che corre, più o meno consapevolmente, rischi simili, sempre costantemente sottovalutati se non a ridosso delle catastrofi che periodicamente ci inseguono.
Immagine di copertina: una fotografia del maremoto dell’Oceano Indiano ad Ao Nang, in Thailandia Credits: David Rydevik (email: david.rydevikgmail.com), Stockholm, Sweden. (Originally at Bild:Davidsvågfoto.JPG.) [Public domain], via Wikimedia Commons