Le fibre tessili sono estremamente diffuse in mare ma quali sono le fibre più inquinanti? Un nuovo studio dimostra che solo l’8% di quelle ritrovate in acque oceaniche è effettivamente composto da fibre sintetiche: per lo più sono polimeri naturali, come lana e cotone, i cui tempi di biodegradazione non sono però ancora noti. Vediamo meglio di che si tratta.
Come si classificano le fibre tessili?
Le fibre tessili sono prodotti di origine naturale o artificiale dai quali è possibile ricavare un filato, che viene poi utilizzato per confezionare stoffe e tessuti. In base alla loro origine le fibre tessili sono classificate in fibre naturali (sia di origine vegetale come cotone, lino e canapa, che animale come seta e lana); fibre artificiali (che si ricavano dalla lavorazione chimica e meccanica della cellulosa del legno) e fibre sintetiche (generalmente prodotte a partire da derivati del petrolio come la plastica). Il mercato del tessile è dominato dal settore dell’abbigliamento, seguito da casalinghi e arredamento, dal settore automobilistico e altre applicazioni industriali come l’edilizia e la cura della persona. Il mercato è in rapida espansione, e la produzione globale è più che raddoppiata negli ultimi vent’anni raggiungendo 107 milioni di tonnellate nel 2018.
Microfibre: il percorso dalla lavatrice al mare
A causa della loro natura, la maggior parte dei tessuti tende a logorarsi durante l’utilizzo e a rilasciare delle microscopiche fibre tessili durante il lavaggio. Il lavaggio domestico infatti, rappresenta una delle principali sorgenti di microplastiche che arrivano ai mari. Questo perché alcune microfibre rilasciate dai vestiti nelle acque di scarico riescono a passare indisturbate attraverso i filtri e gli impianti di depurazione e raggiungono l’ambiente. Pensate che fino a un milione di fibre colorate possono essere rilasciate con un unico lavaggio in lavatrice e, attraverso gli scarichi, si stima che finiscano in mare ogni anno tra le 18 e le 520 000 tonnellate di microfibre.
Ne finiscono così tante in ambiente, che oramai queste piccole fibre colorate sono considerate tra gli inquinanti più diffusi essendo state ritrovate praticamente ovunque, dall’aria che respiriamo all’acqua che beviamo, nello stomaco di centinaia di organismi marini, nel ghiaccio marino artico, nei sedimenti profondi e persino nei polmoni umani, negli alimenti e nelle bevande.
Fibre in mare: una sorpresa poco gradita
Se siete di quelli che, preoccupati per il rilascio nell’ambiente delle microfibre sintetiche, vestite solo di materiali naturali come lana e cotone, preparatevi a uno shock: i mari rigurgitano sì di microfibre, ma naturali, non artificiali.
La scoperta, pubblicata recentemente sulla rivista Science Advances, è sorprendente soprattutto perché, a partire dalla metà degli anni ’90, la produzione globale è stata dominata dalle fibre sintetiche (poliestere in primis, seguito da nylon e acrilici), che rappresentano oggi oltre il 62% della produzione mondiale. In mare invece, la situazione si ribalta e le fibre sintetiche sono solo l’8%, mentre la stragrande maggioranza sono invece fibre naturali di origine vegetale o animale come lana e cotone.
La scoperta, basata sull’analisi di più di 900 campioni di acqua superficiale raccolti da ricercatori italiani, sudafricani e australiani in ben sei bacini oceanici diversi nel corso di cinque spedizioni oceanografiche, include campioni provenienti dall’Oceano meridionale, dall’Antartide, dal Mediterraneo, dall’Oceano Indiano e dall’Oceano Atlantico. Le concentrazioni più alte sono state riscontrate in Mediterraneo, mentre quelle più basse sono state ritrovate nell’Atlantico Settentrionale. La proporzione di fibre naturali però rimane pressoché costante in tutti i mari del mondo: seppur con alcune differenze regionali, le fibre tessili di origine vegetale sono sempre le più diffuse, oltre il 90%, non solo nelle acque superficiali, ma anche nei sedimenti profondi e nello stomaco dei pesci.
Un campione di acqua superficiale osservato al microscopio ottico rivela la presenza di decine di fibre tessili colorate (Copyright Peter G. Ryan – University of Cape Town)
Perché sono più diffuse le fibre naturali in mare?
Il perché queste fibre naturali siano così abbondanti rimane un mistero e al momento possiamo solo avanzare delle ipotesi:
1. La prima è che essendo più grezzi e meno compatti, i capi in lana e cotone perdano, durante l’uso e il lavaggio, molte più fibre dei tessuti artificiali.
2. La seconda è che, forse a causa di coloranti e altri additivi chimici, le fibre naturali siano molto meno biodegradabili di quanto si credesse, soprattutto perché concentrazioni elevate di queste fibre sono state riscontrate anche in Antartide, a migliaia di chilometri dalle lavatrici più vicine.
3. Una delle opzioni più plausibili è che vi sia in realtà un apporto costante di fibre tessili sulla superficie del mare. Si ipotizza infatti che queste fibre, essendo molto leggere, possano essere facilmente risospese dalle correnti atmosferiche ed essere così trasportate anche a lungo raggio, nelle zone più remote del pianeta come i poli o le vette alpine.
La distribuzione e l’abbondanza delle microfibre tessili nelle acque oceaniche superficiali (image credit Giuseppe Suaria).
In realtà, sappiamo ancora pochissimo sugli impatti e sui tempi di degradazione di questi materiali in ambiente, e sicuramente c’è bisogno di fare altri esperimenti, visto che ad esempio, un cappotto di cotone è stato ritrovato nel primi anni ’90 praticamente intatto sul fondo di un relitto affondato nel 1857 a oltre 2200 metri di profondità, cioè dopo ben 133 anni di immersione.
Come diminuire l’inquinamento dei mari?
Che fare quindi? In attesa di capirne di più, sembra che la sostituzione delle fibre sintetiche con quelle naturali non assolva l’industria della moda dal fare cambiamenti radicali. Dopo aver raddoppiato la produzione tessile negli ultimi 20 anni, infatti, il flusso di fibre (naturali o sintetiche che siano) sembra ormai inarrestabile. Immaginare soluzioni totalmente risolutive oppure rapidamente implementabili in tutto il mondo sarebbe pura fantasia.
D’altro canto, però, oggi la scienza e la tecnologia sono già state in grado di dare alcune risposte, sia in termini di soluzioni più o meno tecnologiche acquistabili online, sia sotto forma di pratiche virtuose che ciascuno, individualmente, potrebbe adottare già al prossimo ciclo di lavaggio.
Come fare la lavatrice per diminuire l’inquinamento
Sembra infatti che usare la lavatrice sempre a pieno carico, con l’acqua più fredda e nei tempi più ridotti possibili possa essere una soluzione. Mezz’ora di lavaggio a 15 °C porta al 30% in meno di microfibre rispetto a un ciclo di 85 minuti a 40 °C.
E, se possibile, comprare una lavatrice ad alta efficienza, che dimezza non solo il consumo d’acqua, ma anche la produzione di questi dannosi pezzettini di stoffa.
Un’altra possibilità è quella di prevedere dei lavaggi industriali di tutti i capi già prima dell’arrivo in negozio. È stato verificato, infatti, che la maggior parte delle fibre viene rilasciata al primo lavaggio, e la quantità tende progressivamente a ridursi nei lavaggi successivi. In questo caso, le aziende potrebbero dotarsi di sistemi ad hoc per filtrare e raccogliere queste fibre, consegnando al consumatore un prodotto dal ridotto impatto ambientale. In parallelo, ma su scale temporali più lunghe, tutte le aziende produttrici di lavatrici potrebbero dotare di default i propri elettrodomestici di filtri anti-fibre.
Per arrivare a regime occorrerebbe comunque qualche decennio, ma non è mai troppo tardi per trovare altre soluzioni.
Immagine di copertina: Un groviglio di fibre tessili raccolte nelle acque superficiale dell’Atlantico meridionale (copyright Peter G Ryan – University of Cape Town).