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29 Mag 2017

Segnali di attivazione dei Campi Flegrei?

Alina Polonia

Alina Polonia
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La pubblicazione di un interessante studio sui Campi Flegrei ha riportato l’attenzione su questo super-vulcano a Ovest di Napoli, dove negli ultimi 39.000 anni sono stati attivi numerosi centri eruttivi. La caldera dei Campi Flegrei è una delle regioni più densamente abitate del mondo e proprio per questo una delle più studiate. Le eruzioni vulcaniche mostrano spesso fenomeni precursori, come deformazioni superficiali del terreno, aumento di sismicità e temperatura, e variazioni della composizione chimica dei gas e dei fluidi emessi dalle fumarole. Tutti questi parametri sono monitorati in continuo, e si pensa possano garantire allerte di diversi giorni per ridurre il rischio alla popolazione.

Cosa suggeriscono le ultime osservazioni?

Il nuovo studio mette in luce alcuni dati sullo stato attuale del vulcano, basati soprattutto sulla valutazione del campo di stress della crosta al di sotto della caldera. L’ultima eruzione, nel 1538, è stata preceduta da una fase di circa 100 anni durante la quale si sono osservati sollevamenti di circa 17 metri, azzerati dallo sprofondamento seguito al fenomeno. Dal 1950 si osserva una riattivazione del sollevamento, legato probabilmente a processi di pressurizzazione della crosta da parte di magma in risalita da circa 7-9 chilometri  di profondità. I movimenti verticali in superficie sembrano quindi un indicatore primario dell’attività vulcanica.

Il rischio associato a questi fenomeni

La comunità scientifica è ben consapevole del rischio associato a questi fenomeni. Negli ultimi 10 anni, diversi studi hanno sottolineato come si stia registrando una perturbazione all’interno della caldera, marcata da una accelerazione dell’attività delle fumarole e da sciami sismici sempre più frequenti).

Per la prima volta sono stati misurati sollevamenti crostali anche nella zona sommersa del vulcano, utilizzando “barometri” sottomarini molto accurati, che hanno rivelato tassi di sollevamento di qualche centimetro in alcuni mesi. Un modello fisico pubblicato alla fine del 2016 ha valutato come tassi di deformazione maggiori sono associati a temperatura più elevate e a variazioni geochimiche dei gas emessi.

Tutte queste osservazioni convergono a segnalare condizioni più favorevoli a una nuova fase eruttiva, così come confermato da analisi effettuate per mezzo di una perforazione profonda. La cosa però non è così semplice.

Le crisi precedenti

Anche le crisi precedenti, avvenute nel 1970-1972 e nel 1982-1984 sono state caratterizzate da fenomeni analoghi, probabilmente legati all’aumento di pressione del magma, ma per fortuna non sono culminate in eruzioni. Sembra quindi che in assenza di una forte spinta tettonica il materiale fuso possa raffreddarsi nel sottosuolo senza eruttare. Il nuovo studio però suggerisce che le varie crisi degli ultimi decenni potrebbero far parte di un ciclo che ha tempi di manifestazione più lunghi. In questo caso, ogni singolo evento deformativo contribuirebbe ad aumentare la fragilità del substrato, condizione che favorirebbe l’innescarsi di rotture crostali di dimensioni maggiori che aumentano la probabilità di eruzioni.

Tutti i modelli finora formulati soffrono del fatto che le informazioni storiche e preistoriche sull’attività del vulcano sono scarse, perché le fasi parossistiche sono intervallate da periodi di quiescenza molto lunghi. La storia geologica di questa struttura davvero sorprendente, è però dominata da due eventi eccezionali, che suggeriscono grande attenzione: le eruzioni dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni fa) e quella del Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa). La deposizione di enormi quantità di materiale eruttivo fanno pensare che questi eventi siano stati particolarmente catastrofici. C’è da sperare che fenomeni simili non si ripetano nell’immediato futuro, perlomeno fino a quando perdurerà l’attuale situazione urbanistica dell’area.

Alina Polonia
Alina Polonia
Geologa e ricercatrice presso l'Istituto di Scienze Marine (ISMAR-CNR) di Bologna dove si occupa di geologia marina. I suoi interessi principali sono lo studio dei margini continentali e la geologia dei terremoti sottomarini.
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