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16 Set 2020

Ti conosco, mascherina! O no?

Eleonora Polo

Eleonora Polo
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Quanto inquinano mascherine e guanti

Dall’inizio della pandemia del virus SARS-CoV-2 – o meglio, da quando sono diventati reperibili guanti e mascherine – su marciapiedi, parchi, strade e piazze sono spuntati strani fiori colorati, soprattutto azzurri. Al supermercato è facile trovare carrelli ridotti a ricettacoli di guanti abbandonati. È vero che, su indicazione degli enti locali, sono spariti molti cestini pubblici che potrebbero trasformarsi in veicoli di infezione nel caso ci finissero dentro dispositivi di protezione individuale (DPI) contaminati. Un motivo in più per non abbandonarli in giro. E se la mascherina vola via, visto che non ha le ali non è poi così difficile recuperarla.

 

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Sono uno dei frutti indesiderati della necessità di proteggersi associata a pigrizia e mancanza di rispetto per l’ambiente e le altre persone. Gli effetti di questo malcostume si vedono già: anche in tempo di lockdown e con i passi contati, non ho avuto problemi a documentare questi abbandoni nella mia città.
L’uso quotidiano dei DPI ha – e avrà – un forte impatto ambientale e potrebbe aggravare lo stato dei nostri mari (di cui parlo nel mio libro L’isola che non c’è), già compromesso dalle tonnellate di plastica che ci finiscono dentro ogni anno. A maggio si prevedeva per la Fase 2 un consumo mensile di un miliardo di mascherine del peso di circa 4g l’una. Se anche solo l’1% fosse disperso nell’ambiente, sarebbero comunque oltre 40 tonnellate di plastica. Per questo il WWF ha chiesto alle istituzioni di predisporre raccoglitori riservati ai DPI nei parchi, presso i supermercati e nei posti di lavoro in cui è necessario usare in modo continuato questi sistemi di protezione.

 

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Dove vanno buttate le mascherine e i guanti?

Il rapporto di ISPRA, le indicazioni e le infografiche dell’Istituto Superiore di Sanità sono chiari: vanno sempre nell’indifferenziato, perché non sono riciclabili per il solo fatto di essere stati a contatto con qualcosa di biologico. Lo stesso vale, in via precauzionale, anche per i fazzoletti e i rotoli di carta.

 

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In quarantena si può fare la raccolta differenziata?

Non tutti lo sanno, ma nel caso di una persona in quarantena, positiva asintomatica o ammalata, è sospesa completamente la raccolta differenziata per tutta la durata dell’isolamento domiciliare. TUTTI i rifiuti devono essere rinchiusi in almeno due o tre sacchetti resistenti, uno dentro l’altro, e ben sigillati.

 

Emergenza nell’emergenza

La pandemia ha anche peggiorato la gestione mondiale della plastica amplificando le criticità non risolte dei sistemi di gestione dei rifiuti. L’esplosione di acquisti online, consegne a domicilio e da asporto di molti beni di consumo, il maggiore ricorso alla plastica monouso, il dirottamento verso la raccolta indifferenziata dei flussi dei rifiuti extra-ospedalieri dei pazienti positivi al Covid-19, in isolamento o in quarantena obbligatoria, sommati al forte incremento dei rifiuti ospedalieri, hanno gradualmente saturato gli impianti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti urbani e speciali.
In seguito alle restrizioni alla circolazione, in Europa si è anche interrotto il flusso di quella porzione di rifiuti plastici che non è trattata nei Paesi di origine. Infine, in seguito al blocco/riduzione della produzione, è anche crollata la vendita delle materie prime da riciclo che hanno finito per congestionare gli impianti di trattamento. Per far fronte all’emergenza, il Ministero dell’Ambiente italiano ha autorizzato l’aumento delle capacità di stoccaggio e deposito dei rifiuti presso le aree autorizzate e ha consentito agli impianti di incenerimento di raggiungere la capacità termica massima. Tuttavia occorre uscire quanto prima da una logica di emergenza costante.

Eleonora Polo
Eleonora Polo
Eleonora Polo, chimica, è ricercatrice presso l'ISOF-Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del CNR (Bologna). Professoressa a contratto per il corso di Didattica della Chimica presso l'Università degli Studi di Ferrara, affianca all'attività di ricerca la divulgazione scientifica attraverso la pubblicazione di articoli (AIM Magazine, La Nuova Secondaria, Sapere), la partecipazione a iniziative come Unijunior, Progetto Lauree Scientifiche, Festival della Scienza di Genova, Linguaggio della Ricerca, Notte dei Ricercatori e progetti europei (RM@Schools). Con il libro "C'era una volta un polimero" (Apogeo Education, 2013) si è classificata terza al Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2014. Per Dedalo ha pubblicato L’isola che non c’è (2020) e Un oceano di plastica (2021).      
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