Un sistema di spaccature profonde sta separando la Sicilia dal resto dell’Italia nella regione compresa tra lo stretto di Messina e l’Etna. Lungo queste strutture geologiche, risale materiale del mantello che formava il basamento dell’oceano mesozoico chiamato Tetide, da una profondità di circa 15-20 chilometri. Si tratta di una vera e propria “finestra geologica” sotto il fondale del Mar Ionio, che consente di osservare da vicino blocchi dell’antico oceano, svelando i processi che hanno portato alla sua formazione. Lo studio Lower plate serpentinite diapirism in the Calabrian Arc subduction complex, condotto da un team di ricercatori coordinati dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Bologna, è stato pubblicato su Nature Communications.
Un sistema di spaccature profonde sta separando la Sicilia dal resto dell’Italia nella regione compresa tra lo stretto di Messina e l’Etna. Lungo queste strutture geologiche, risale materiale del mantello che formava il basamento dell’oceano mesozoico chiamato Tetide, da una profondità di circa 15-20 chilometri. Si tratta di una vera e propria “finestra geologica” sotto il fondale del Mar Ionio, che consente di osservare da vicino blocchi dell’antico oceano, svelando i processi che hanno portato alla sua formazione. Lo studio Lower plate serpentinite diapirism in the Calabrian Arc subduction complex, condotto da un team di ricercatori coordinati dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Bologna, è stato pubblicato su Nature Communications.
Il materiale che risale dal profondo dell’antico oceano della Tetide è una roccia particolare, chiamata serpentino, proprio perché il suo colore verdastro con striature scure ricorda la pelle dei serpenti, e risulta come prodotto di alterazione delle rocce del mantello terrestre, le peridotiti, al contatto con l’acqua. Studiare le caratteristiche di queste rocce permetterà di ricostruire le caratteristiche della Tetide, il cui sprofondamento all’interno della crosta terrestre ha provocato la formazione delle Alpi e degli Appennini.
Le faglie lungo le quali risale il mantello della Tetide controllano anche la formazione del Monte Etna, dimostrando che si tratta di strutture in grado di innescare processi vulcanici e causare terremoti. Si tratta, infatti, di strutture profonde e di notevoli dimensioni che separano blocchi di crosta terrestre in movimento reciproco; tutte condizioni, queste, che sono in grado di causare terremoti a magnitudo elevata e tsunami, come quelli registrati nel lungo record storico a disposizione (Messina, 1908, Catania 1693, ecc.).
Attraverso uno studio multi-disciplinare che integra l’analisi di immagini acustiche del sottosuolo, dati geofisici e campioni di sedimento acquisiti con la nave da ricerca del CNR “Urania”, è stato possibile identificare le faglie, ricostruire la loro geometria e scoprire anomalie geochimiche nei sedimenti, legate alla presenza di fluidi profondi. L’analisi di tutti i dati raccolti nelle ragione nel corso di molte spedizioni oceanografiche ha permesso di proporre un modello geologico che conferma l’origine profonda del materiale in risalita lungo le faglie.
Grazie a questa scoperta, l’Arco Calabro, il sistema di subduzione tra Africa ed Europa nel Mar Ionio, acquisisce dunque un importante primato: è l’unica regione al mondo in cui siano stati descritti diapiri di mantello originati nella placca in subduzione. I risultati di questo lavoro avranno importanti implicazioni per capire meglio come si formano le catene montuose e come questi processi siano legati ai forti terremoti storici registrati in Sicilia e Calabria.