Chi esplora un mondosconosciutocome quello degli abissi marini – dopotutto, conosciamo meglio la superficie di Marte che i nostri oceani – spesso lavora con animali mai visti fino a ora, o conosciuti solo da esemplarirovinatiripescati da campionamenti profondi di un secolo prima. Le difficoltà diidentificazionenel mondo della biologia marina aumentano con il crescere delle nostre conoscenze, ed un’analisi del DNA non è quasi mai la soluzione più rapida e facile.
Così, due studiose americane,Janet VoighteJessica Kurth, sono riuscite a sviluppare un metodo per identificare le specie oggetto del loro studio, cioè quelle appartenenti al simpaticissimo e buffo genere Graneledone.
Identificare una specie animale da immagini o riprese video non è sempre facile, e anzi gli studiosi di alcuni gruppi di invertebrati come gli insetti vi diranno che spesso è complicatissimo distinguere una specie dall’altra persino lavorando su esemplari musealizzati. Sebbene l’avvento delle tecniche genetiche abbia dato vita ad un nuovo tipo di sistematica basato sull’analisi del DNA degli organismi, si tratta sempre di un processo lungo e complicato, e soprattutto impossibile da effettuare quando stiamo guardando animali da un monitor collegato a un ROV che sta a 2000 metri sotto di noi negli abissi marini. Inoltre, molti studiosi che si specializzano su determinati gruppi sistematici hanno dalla loro decine e decine di anni di ricerche ed osservazioni – pensate per esempio agli uccelli o ai mammiferi africani.
Tuttavia, chi esplora un mondo sconosciuto come quello degli abissi marini – dopotutto, conosciamo meglio la superficie di Marte che i nostri oceani – spesso lavora con animali mai visti fino a ora, o conosciuti solo da esemplari rovinati ripescati da campionamenti profondi di un secolo prima. Le difficoltà di identificazione nel mondo della biologia marina aumentano con il crescere delle nostre conoscenze, ed un’analisi del DNA non è quasi mai la soluzione più rapida e facile.
Così, due studiose americane, Janet Voight e Jessica Kurth, sono riuscite a sviluppare un metodo per identificare le specie oggetto del loro studio, cioè quelle appartenenti al simpaticissimo e buffo genere Graneledone.
I polpi viola degli abissi
Graneledone è un genere di piccoli polpi batiali (cioè viventi tra i 1000 ed i 4000 metri di profondità) di colore dal rosa al violetto, poco conosciuti fino all’avvento dei ROV, ed immediatamente diventati tra gli animali più adorati dai biologi marini grazie al loro aspetto simpatico. Tuttavia questi elusivi piccoli cefalopodi sono molto fragili, e distinguere tra le due specie incluse nel genere era impossibile basandosi solo sulle immagini; riconoscere una specie dall’altra è fondamentale non solo per l’identificazione, ma soprattutto per la conservazione, perché pemette immediatamente di capire se abbiamo a che fare con un animale in pericolo di estinzione senza doverlo catturare. Voight e Kurth hanno deciso di cercare quindi un sistema che permettesse di distinguere tra G.verrucosa e G.pacifica, due delle specie di questo genere, ed hanno esaminato tutti gli esemplari conservati in museo a loro disposizione. I risultati, alla fine, sono stati all’altezza delle aspettative – una cosa non sempre vera, nella ricerca scientifica.
Contare le verruche!
La pelle verrucosa di questo simpatico polpo può sembrare identica ad un osservatore casuale, ma le biologhe marine statunitensi hanno invece scoperto che la distribuzione delle verruche su alcune aree del mantello e delle braccia degli animali hanno validità specifica, cioè permetterebbero di distinguere tra le specie. Queste osservazioni sono state pubblicare su Marine Biology Research, e sono importantissime non solo perché permettono l’identificazione specifica su base visuale quando si incontrano nuove popolazioni di questo animale negli abissi, ma anche perché forniscono un nuovo metodo che potrebbe trovare molte altre applicazioni nella sistematica degli animali marini, e che ci aiuterà a conoscere sempre meglio e conservare gli incredibili abitanti del mondo senza luce che copre buona parte del nostro pianeta, e che per noi resta ancora un profondissimo (mi si scusi il gioco di parole) mistero.