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04 Dic 2019

I serpenti con le zampe

Marco Signore

Marco Signore
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L’evoluzione di vertebrati complessi – come i serpenti – è da tanto tempo argomento di studi e dibattiti, ma solo grazie alle evidenze fossili possiamo avere un quadro sempre migliore di quanto accaduto.

La semplice osservazione dello scheletro di un serpente moderno non può che farci meravigliare: si tratta infatti di uno dei vertebrati più incredibili dal punto di vista delle modifiche al “piano strutturale di base” su cui tutti gli animali dotati di cranio sono modellati.

L’evoluzione di vertebrati complessi – come i serpenti – è da tanto tempo argomento di studi e dibattiti, ma solo grazie alle evidenze fossili possiamo avere un quadro sempre migliore di quanto accaduto.

 

La semplice osservazione dello scheletro di un serpente moderno non può che farci meravigliare: si tratta infatti di uno dei vertebrati più incredibili dal punto di vista delle modifiche al “piano strutturale di base” su cui tutti gli animali dotati di cranio sono modellati.

 

La quantità di vertebre, la mancanza completa dei cinti, e la semplice ed elegante soluzione delle mandibole snodate, che permettono ai serpenti di inghiottire prede di dimensioni decisamente superiori a quelle della loro testa, sono il risultato di un’evoluzione durata oltre un centinaio di milioni di anni.

 

Ci sono, tuttavia, punti oscuri su come questo complesso cammino abbia avuto inizio, e su come dovevano apparire i primi serpenti. Sappiamo che questi rettili hanno perso le zampe anteriori praticamente subito durante la loro evoluzione; ma cosa ne è stato degli arti posteriori? E come funzionano le modifiche subite dal cranio? Il ritrovamento nel 2006, di Najash rionegrina, una specie che abitava la Patagonia (Argentina) circa 100 milioni di anni fa aveva per la prima volta portato agli occhi degli studiosi un serpente abbastanza antico e dotato di un robusto cinto pelvico e di arti posteriori funzionanti. Ma Najash aveva in serbo qualche altra sorpresa.

Serpenti bipedi

Come in una storia fantasy, i primi serpenti erano di fatto dotati di arti posteriori funzionanti, e a quanto pare la cosa funzionava talmente bene che il “bipedismo” dei serpenti è andato avanti per un bel po’ nella loro storia evolutiva. Era infatti noto che le forme acquatiche di serpenti antichi (come Pachyrhachis) avevano arti posteriori sviluppati – il che ha portato gli studiosi a considerare questi serpenti marini come antenati degli ofidi attuali, staccatisi dai mosasauri (gigantesche lucertole marine predatrici). Ma a quanto pare la conservazione degli arti posteriori era prerogativa anche di animali più antichi, e terrestri: Najash ha dimostrato esattamente questo, e le analisi condotte sui fossili di questo genere, hanno appunto posizionato l’antico serpente argentino alla base della storia di tutti i serpenti.

 

Serpenti dalle mascelle devastanti e non solo 

 

Eppure, come dicevamo, c’è di più: un ritrovamento ancora più recente ha portato i paleontologi a pubblicare di recente su nuove considerazioni su Najash grazie a diversi esemplari molto ben conservati.

 

Si è visto così che la condizione “bipede” sarebbe apparsa circa 170 milioni di anni fa e, quindi, i serpenti l’avrebbero mantenuta per decine milioni di anni: apparentemente questo modello di locomozione funzionava molto bene, per manenerlo così a lungo. Inoltre, le mascelle di najash, finalmente ritrovate complete, mostrano un cranio largo e articolato, una struttura ben diversa da quella dei serpenti moderni, che in genere è stretta e fatta per allargarsi solo all’occorrenza.

 

Nuove risposte dai fossili, quindi, ma anche nuove domande: c’è ancora da scoprire come fosse fatto l’antenato degli antichi serpenti come Najash, e soltanto nuovi ritrovamenti ci permetteranno di rispondere a questa e altre domande sulla storia di questi affascinanti, e tanto scioccamente demonizzati, rettili.

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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