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22 Set 2020

L’antenato dello squalo: quanto era grande un megalodonte?

Marco Signore

Marco Signore
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Torniamo a parlare di uno degli squali più famosi e paradossalmente meno conosciuti della storia, vissuto nel Cenozoico: il megalodonte. Il grande predatore degli oceani cenozoici è infatti continuo oggetto di studio: persino sul nome del genere ci sono ancora dibattiti in corso. I paleontologi sono quasi del tutto concordi nell’abbandonare il genere Carcharodon (lo stesso dello squalo bianco attuale), ma ora anche il nome Carcharocles sembra al tramonto (insieme con Megaselachus e Procarcharodon, altri due nomi usati in passato per questo animale), mentre molte pubblicazioni scientifiche si riferiscono al colossale squalo come Otodus megalodon.

 

Tutto quello che sappiamo sul megalodonte

Dato che buona parte dei fossili di questo grande squalo è costituita da denti – gli squali hanno infatti uno scheletro cartilagineo, che mal si presta alla fossilizzazione – l’unica cosa che sappiamo con certezza è che il “Meg”, come lo chiamano negli Stati Uniti, era un carnivoro; ma sulle sue dimensioni c’è ancora incertezza.
Così, mentre nuovi dati vengono presentati, alcuni ricercatori si impegnano a dare una risposta alla domanda che accomuna studiosi, curiosi, e registi di film horror di serie B (si veda qui per saperne di più sugli squali “pericolosi” dei film): quanto era realmente grande l’Otodus megalodon?
Le stime originali, una volta eliminate quelle eccessive (30 metri di predatore? Un po’ troppo!), si attestavano fino a qualche tempo fa sui 15-18 metri di lunghezza: di sicuro il più grande squalo predatore mai comparso sul nostro pianeta. Ma una squadra di studiosi inglesi condotta da specialisti dell’Università di Bristol ha provato a mettere insieme tutti i dati noti per cercare di fornire una stima più plausibile della lunghezza del nostro amato super-squalo.

 

Un modello 2D

Naturalmente, in mancanza di uno scheletro anche parziale dell’animale, gli studiosi ricorrono alle simulazioni computerizzate, usando i dati di tutte le specie potenzialmente o realmente imparentate con l’organismo in studio. Così, l’équipe di Bristol ha compilato i dati relativi a cinque lamniformi (il gruppo a cui appartiene il Meg) più conosciuti, e ha cercato di creare, tramite metodi statistici, una serie di possibili misure di O. megalodon durante le sue fasi di crescita.
Il risultato scientificamente più valido è un modello bidimensionale dell’animale, essenzialmente una sagoma da “disegnare” in base alle misure ottenute. E i risultati sono stati davvero sorprendenti, non solo dal punto di vista della lunghezza totale dello squalo. Per inciso, una nota sulla credibilità delle misure: il modello applicato ha previsto correttamente le misure di 22 su 24 squali bianchi usati come confronto, e le cui misure erano già note ai ricercatori. Un’affidabilità, quindi, decisamente alta.

 

Pinne come vele

Dai risultati ottenuti, si stima che un adulto di O. megalodon era lungo 16 metri, e doveva avere una testa lunga oltre 4 metri, con una gigantesca pinna dorsale di quasi 2 metri di altezza. Le pinne pettorali erano due falci lunghe più della dorsale, e l’altezza complessiva dell’animale toccava i 4 metri. Insomma, le analisi statistiche sostanzialmente confermano le dimensioni incredibili di un adulto di Meg.
E i cuccioli? 3 metri alla nascita, 8 metri per un giovane: quindi i giovani megalodonti erano già più grandi del più grande squalo bianco mai incontrato. Sedici metri di devastante potenza, in grado di cacciare i più grandi abitanti degli oceani: un predatore senza eguali, capace di rivaleggiare con i più grandi carnivori dei mari (e delle terre emerse), sparito completamente dai nostri mari… per fortuna degli umani!
Pertanto, ancora una volta devo rifarmi ai Manilla Road con il loro brano intitolato Megalodon*, perché a fronte di questi nuovi dati davvero è come scrivono loro alla fine della canzone: «Mai più esisterà un tale predatore, uno squalo così mortale».

 

* https://www.youtube.com/watch?v=w7pSBFfRkOY</a></p>”

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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