La regola di Bergmann: una strategia di sopravvivenza
Otodus megalodon, il gigantesco squalo predatore estinto poche migliaia di anni fa, sarebbe un buon candidato per la cosiddetta regola di Bergmann, cioè il principio per cui molti animali aumentano le dimensioni (e quindi il rapporto massa/superficie) del proprio organismo man mano che il clima si raffredda, per mantenere la temperatura corporea costante più facilmente. Così la pensa un gruppo di studiosi capitanato da Kenshu Shimada, uno dei più grandi esperti di squali fossili al mondo, che ha recentemente pubblicato un articolo sull’argomento.
Il gigante preistorico più amato dal grande pubblico
Otodus megalodon è forse uno degli animali preistorici più conosciuti e famosi, insieme con gli immancabili dinosauri e pochi altri organismi della lunga storia evolutiva terrestre. Considerato che i suoi resti sono essenzialmente limitati ai denti, è davvero incredibile come la sua fama sia così elevata, al punto da essere protagonista di leggende metropolitane, videogiochi, brani musicali e produzioni cinematografiche più o meno di successo.
Tuttavia, chiunque abbia avuto l’occasione di vedere o toccare con mano uno dei suoi denti, o anche solo la riproduzione delle mascelle esposta in qualche museo, può capire come mai: uno squalo predatore di almeno 15 metri di lunghezza (alcune stime indicano che potrebbe aver raggiunto addirittura i 20 metri), estinto solo poco tempo fa (in termini geologici, circa 3,6 milioni di anni fa) non può non colpire l’immaginario collettivo.
Le dimensioni di Otodus megalodon sono state di recente ricalcolate, ma lo studio pubblicato da poco a firma di Shimada e colleghi le correla con qualcosa in più, sostenendo che il nostro “super-squalo” potesse raggiungere le massime dimensioni nelle acque più fredde, mantenendosi invece meno grande negli oceani caldi. Studi precedenti avrebbero, infatti, identificato delle nursery, cioè delle aree di riproduzione per questi giganteschi predatori, corrispondenti a zone dalle acque calde, come per esempio il Golfo del Messico.
L’abbondanza di denti correlati ad animali di dimensioni relativamente piccole ha portato gli studiosi a ipotizzare che si trattasse dei resti di animali giovani, e quindi che le zone in cui vivevano fossero aree riproduttive. Il nuovo studio ha invece voluto esaminare un ulteriore parametro non considerato dai precedenti autori: la temperatura dell’acqua.
Il clima del Miocene
Calcolare temperature di milioni di anni fa non è facile, ma nemmeno impossibile, e così i paleontologi hanno potuto ipotizzare con ragionevole sicurezza che le aree in cui era segnalata un’abbondanza di animali più piccoli (quindi presunti giovani) erano all’epoca più calde rispetto a quelle in cui le dimensioni degli squali sembrano aumentare. In pratica, più l’acqua era fredda, più gli squali erano grandi (in accordo con la regola di Bergmann). Va menzionato che la regola non è mai stata esplicitamente applicata agli squali attuali, e quindi le conclusioni del nuovo studio sarebbero il primo caso tra gli elasmobranchi, siano essi fossili o viventi.
Il freddo rende grandi
Non è il motto dei Vichinghi, ma una conclusione derivata dalla regola di Bergmann, che quindi potrebbe essere applicata anche al nostro “super-squalo”: Otodus megalodon sarebbe diventato sempre più grande anche per la diminuzione delle temperature. Questo non vuol dire che il megalodonte non avesse nursery, come sostenuto dagli studi precedenti, ma solo che le massime dimensioni (15-20 metri) dovevano essere raggiunte nelle acque più fredde. Ironia della sorte, quelle stesse acque che, sempre più fredde, alla fine potrebbero aver decretato l’estinzione dell’antico «re delle maree» (per citare Megalodon, il brano dei Manilla Road).