I cefalopodi (polpi, seppie e calamari) sono sicuramente tra gli organismi più incredibili del nostro pianeta: sono in grado di dominare l’ambiente in cui vivono senza uno scheletro rigido e senza alcuna corazza. Il loro sistema nervoso è estremamente avanzato – tanto è vero che viene utilizzato negli studi di neurologia per simulare il nostro – e il loro cervello è uno dei migliori in natura. Inoltre riescono a editare il proprio RNA praticamente in tempo reale. Ma è soprattutto la loro assoluta maestria nel gestire e usare i colori a non essere seconda a nessuno! Riescono a imitare alla perfezione qualsiasi tinta e, grazie a questa abilità, possono mimetizzarsi e diventare quasi invisibili. La cosa più sorprendente, però, è che i loro occhi hanno un solo tipo di fotorecettori: in pratica, i cefalopodi non vedono i colori.
I cefalopodi (polpi, seppie e calamari) sono sicuramente tra gli organismi più incredibili del nostro pianeta: sono in grado di dominare l’ambiente in cui vivono senza uno scheletro rigido e senza alcuna corazza. Il loro sistema nervoso è estremamente avanzato – tanto è vero che viene utilizzato negli studi di neurologia per simulare il nostro – e il loro cervello è uno dei migliori in natura. Inoltre riescono a editare il proprio RNA praticamente in tempo reale. Ma è soprattutto la loro assoluta maestria nel gestire e usare i colori a non essere seconda a nessuno! Riescono a imitare alla perfezione qualsiasi tinta e, grazie a questa abilità, possono mimetizzarsi e diventare quasi invisibili. La cosa più sorprendente, però, è che i loro occhi hanno un solo tipo di fotorecettori: in pratica, i cefalopodi non vedono i colori.
Questo, almeno, è ciò che si sapeva fino a oggi; ma un’innovativa ricerca sembra aver trovato la chiave di uno dei più assurdi paradossi del mondo degli animali. A quanto pare esistono diversi modi per “vedere” le diverse colorazioni e gli occhi dei cefalopodi sembrano perfetti per utilizzare una delle alternative in maniera assai simile a una macchina fotografica digitale.
Fotorecettori e colori
Percepire i colori richiede una specializzazione degli occhi e del cervello. Per esempio, gli umani hanno tre tipi di cellule cono, ciascuna associata a un differente intervallo di lunghezze d’onda. Queste cellule trasmettono le loro letture al cervello che le interpreta, appunto, con una visione a colori. Questa abilità ha un prezzo: in condizioni di scarsa luminosità la nostra vista diviene meno precisa. Viceversa, in genere, gli organismi capaci di vedere in bassa luminosità “sacrificano” la percezione delle infinite nuance presenti in natura. I cefalopodi hanno un solo tipo di cellule ottiche e si sono anche distinti nei test di laboratorio per la loro apparente incapacità di percepire i toni secondo i metodi standard (ideati quindi per occhi come i nostri). Eppure il mondo di questi animali è fatto di colori: si mimetizzano fino a rendersi invisibili oppure comunicano con una vasta gamma di tinte (e con grande rischio di essere mangiati) durante la loro stagione riproduttiva. La grande domanda che si ponevano gli studiosi era quindi: come è possibile che animali incapaci di vedere i colori li utilizzino in maniera così eccezionale?
Occhi alieni
Recentemente un assurdo articolo firmato da diversi studiosi (ma nessun zoologo), tra cui il “famigerato” Chandra Wickramasinghe, suggeriva che i cefalopodi potessero essere “alieni”, cioè derivati geneticamente da qualcosa portata sulla Terra dallo spazio milioni di anni fa. Naturalmente non è così, è certo però che questi animali continuano a collezionare una fantascientifica serie di primati. Due ricercatori, padre e figlio, A. Stubbs e C. Stubbs, hanno messo a punto un modello che spiega la loro visione dei colori. In pratica hanno un occhio che percepisce le tinte in base alla distanza alla quale essi sono a fuoco, un po’ come fanno le macchine fotografiche digitali massimizzando il contrasto rispetto alla lunghezza focale. Un meccanismo assolutamente nuovo in natura che, però, probabilmente, è utilizzato anche dai ragni e dai delfini e che una volta ancora dimostra quanto l’evoluzione si sia sbizzarrita sul nostro pianeta.
