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23 Feb 2019

Prede spinose

Marco Signore

Marco Signore
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In Natura esiste una vera e propria “corsa agli armamenti” tra predatori e prede e se i cacciatori hanno a disposizione arsenali impressionanti per abbattere le proprie vittime, queste ultime non sono da meno.

In Natura esiste una vera e propria “corsa agli armamenti” tra predatori e prede e se i cacciatori hanno a disposizione arsenali impressionanti per abbattere le proprie vittime, queste ultime non sono da meno. Le difese passive, cioè quelle che non hanno bisogno di azioni dirette da parte di un organismo, assumono centinaia di forme diverse tra gli animali, e una delle più evidenti è costituita dalle spine: l’organismo si “limita” a ricoprirsi di spine e, al massimo, a orientarle verso l’aggressore per trasformarsi da un possibile pasto a un inconveniente non da poco. Questo sistema difensivo in genere scoraggia i predatori (ma molti di essi hanno evoluto contromisure altrettanto incredibili), eppure è uno dei tanti aspetti dell’evoluzione che noi diamo per scontato, infatti la vista di un riccio di mare non è un evento tanto inconsueto.

 

Ma i sistemi difensivi non si riducono a corazze o spine: una preda eccessivamente grande e forte diventa meno semplice da attaccare e, con ogni probabilità, i più grandi animali mai vissuti sul nostro pianeta sono i dinosauri sauropodi: questi colossi dal lungo collo e dalle zampe colonnari potevano raggiungere dimensioni ragguardevoli, fino agli oltre trenta metri dei giganteschi Argentinosaurus e Dreadnoughtus, entrambi ritrovati in Patagonia. E proprio dall’Argentina arriva una nuova “istantanea” del mondo perduto dei dinosauri: un nuovo fossile che quasi sembra volerci confermare il vecchio proverbio “meglio abbondare che scarseggiare”, soprattutto in termini difensivi. Andiamo a conoscere Bajadasaurus.

 

Vi presento i Dicraeosauridae

 

Siamo tutti più o meno a conoscenza delle difese di molti dinosauri erbivori: le mazze caudali degli anchilosauri, i thagomizer degli stegosauri (le spine caudali), e le corna dei ceratopsi. Fino a oggi si pensava che i sauropodi si basassero sulle dimensioni e, forse, sulla vita in branco per difendersi da predatori di tutto rispetto – basta citare Allosaurus o Tyrannosaurus. Tra i giganti dell’epoca, i Dicraeosauridae (probabilmente diffusi solo in Sud America e Africa orientale) erano un po’ un’eccezione: le loro dimensioni erano piuttosto contenute (non superando in genere i 13 metri), i loro colli più corti e massicci del normale e, soprattutto, le spine neurali, cioè le protuberanze ossee sulla parte superiore delle vertebre, decisamente allungate. Tra essi, Amargasaurus, altro animale argentino, era provvisto di una sorta di “criniera” di spine sul collo, rivolte verso la coda. Ma il ritrovamento di Bajadasaurus, sempre in Patagonia, probabilmente cambierà il nostro modo di vedere i sauropodi e soprattutto i Dicraeosauridae.

 

Falange macedone vivente

 

Bajadasaurus era provvisto di lunghissime spine ossee sul collo, ricoperte di cheratina (come il corno dei rinoceronti), rivolte verso la testa. Quando questo sauropode abbassava il collo, le spine formavano un muro di lance da puntare contro un eventuale predatore. E possiamo solo immaginare l’effetto di un gruppo di questi animali posizionati in riga, proprio come una falange macedone, con le lunghe sarisse rivolte verso il nemico: probabilmente anche i carnivori più potenti avrebbero avuto qualche problema ad attaccare un gruppo di Bajadasaurus. I fossili di questo straordinario sauropode sono la testimonianza che, nonostante più di due secoli di studi sui dinosauri, le sorprese riguardanti i “rettili terribilmente grandi” non finiscono mai, e la loro diversità, insieme alle forme fantastiche e le dimensioni ragguardevoli, non potrà che consacrarli come i “draghi” per eccellenza nell’immaginario collettivo.

 

Immagine di copertina: ricostruzione scheletrica del Bajadasaurus pronuspinax. Credits: Pablo A. Gallina, Sebastián Apesteguía, Juan I. Canale & Alejandro Haluza [CC BY 4.0], via Wikimedia Commons

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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