Quando si parla di api, è l’ape da miele (Apis mellifera) quella che viene subito in mente. E, spesso, rimane pure l’unica. Ma il mondo delle api è composto da quasi 30 000 specie, raggruppate nella superfamiglia degli apoidei, all’interno dell’ordine degli imenotteri. Insomma, un vasto gruppo in cui, accanto alle api da miele allevate dagli apicoltori, sono presenti bombi, api solitarie come le osmie oppure le enormi xylocope, dall’esoscheletro di un formidabile viola metallizzato.
Nessuna di queste viene allevata per produrre miele e il motivo è semplice: solo l’Apis mellifera sverna sotto forma di colonia e, quindi, necessita di scorte invernali accumulate durante la bella stagione, creando quel surplus che viene sottratto dagli esseri umani.
Perché le api stanno diminuendo?
Tutte queste migliaia di specie di api, però, sono in pericolo. Una ricerca pubblicata nel 2021 sulla rivista One Earth, infatti, è stata in grado di quantificare la riduzione del numero di specie tra i campionamenti svolti tra il 2006 e il 2015 rispetto a quelli del 1990: meno 25%. Il motivo di questo drastico calo non è uno solo, bensì un vasto insieme di fattori che, nel complesso, rende la vita per le api sempre più difficile. Accanto a un uso massiccio di pesticidi in agricoltura intensiva, infatti, i cambiamenti climatici con fenomeni atmosferici più estremi stanno incidendo sempre di più sulla possibilità per questi insetti di reperire il cibo durante la stagione riproduttiva. Il marzo caldo del 2021, per esempio, seguito da un ritorno delle gelate nel successivo mese di aprile, ha comportato una distruzione quasi totale delle gemme che, di lì a poco, avrebbero dovuto fiorire e produrre nettare: una vera e propria carestia per tutti gli impollinatori.
Ma anche la profonda modifica dell’ambiente naturale causata dall’uomo è un problema per l’intera superfamiglia degli apoidei. Al già citato fenomeno dell’agricoltura intensiva, infatti, si affianca un’urbanizzazione sempre più diffusa, capace di ridurre in maniera significativa gli spazi verdi disponibili per le api, tanto per trovare di che cibarsi, quanto per offrire siti riproduttivi adatti. Uno studio del 2022 pubblicato su Science of the Total Environment illustra come proprio l’incremento dell’urbanizzazione sia tra i fenomeni che più minacciano la biodiversità nel suo complesso, nello specifico per api e altri impollinatori. La vita in città, accanto all’uomo, comporta per ogni specie animale vantaggi e svantaggi, il cui bilanciamento marca la differenza tra morte e sopravvivenza. Non fanno eccezione le api selvatiche: api sociali con un corpo piccolo e un ampio periodo di volo, per esempio, sono favorite nel contesto urbano rispetto ad api grosse e solitarie. Le prime, forse, sopravviveranno, le seconde no.
Salvaguardare la biodiversità. Anche in città
È in questo contesto, però, che anche il nostro modo di agire e di pensare alla città può fare la differenza nel favorire o meno la convivenza con altre specie animali, garantire la loro sopravvivenza e, di conseguenza, la salvaguardia della biodiversità. Tutte le api si nutrono di nettare, che trovano nei fiori. Più fiori ci sono e più varietà floreali sono presenti lungo l’arco dell’anno, più cibo è disponibile per le api che, oltre a sopravvivere, potranno riprodursi, anno dopo anno. Perché, quindi, falciare ogni prato come se fosse un campo da golf? Un lavoro del 2018 su Biological Conservation ha messo in chiara evidenza come intervalli di sfalcio di almeno tre settimane, invece che uno a settimana, influiscano in modo positivo su abbondanza e biodiversità di api e altri insetti.
In modo analogo, non sempre le infrastrutture umane sono un ostacolo per le api. Come mette in luce uno studio del 2021 svolto presso la città polacca di Bydgoszcz e pubblicato su Urban Forestry & Urban Greening, costruzioni come le strade o, ancora meglio, le linee ferroviarie possono creare un habitat ideale per questi imenotteri. Rispetto ai vicini boschi naturali o artificiali, infatti, i binari della ferrovia e i bordi delle strade garantiscono un suolo arido e secco in cui la flora spontanea locale prolifera, offrendo possibilità di foraggiamento per lunghi periodi dell’anno. Inoltre, il periodico sfalcio e diserbo, ma non troppo ravvicinato, impedisce a queste porzioni di territorio di ricoprirsi di alberi o arbusti, favorendo, all’opposto, le piante erbacee da fiore. Detto in altre parole, le linee ferroviarie sono delle aree urbanizzate che, come “effetto collaterale” della loro manutenzione, incrementano la biodiversità vegetale la quale, in ultima analisi, si riflette in una analoga ampia biodiversità animale. Un articolo del 2014 pubblicato su Plos One si spingeva addirittura oltre, arrivando a definire i binari ferroviari come un nuovo habitat per gli impollinatori all’interno di un paesaggio agricolo.
La metà del mondo di Edward O. Wilson
La scienza, per concludere, sta sempre più mettendo in risalto come una pacifica e profittevole convivenza con le altre specie con cui condividiamo il mondo sia possibile, in un rapporto di mutua convenienza. Favorire e preservare la biodiversità ha ricadute economiche incommensurabili nei termini dei cosiddetti servizi ecosistemici – impollinazione, sicurezza idrogeologica, acqua e aria pulita, prevenzione delle pandemie, solo per fare qualche esempio. E sempre che si voglia attribuire un valore economico a qualsiasi cosa, soprattutto a tutto ciò che una “cosa” non è, come la bellezza e la possibilità di vivere in un ambiente più confortevole, tanto per noi esseri umani, quanto per le api.
Forse l’auspicio di Edward O. Wilson di destinare metà del nostro pianeta alle altre specie viventi al fine di preservare la biodiversità della Terra rimane un’utopia, ma di certo un nuovo modo di vivere è possibile: fare sì che la nostra presenza sia più lieve è qualcosa di realizzabile. Perché un mondo a misura d’ape è anche un mondo a misura di uomo.