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08 Ago 2023

Un superpredatore preistorico

Marco Signore

Marco Signore
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Il terrore del Cambriano

Anomalocaris canadensis fu uno dei superpredatori del Cambriano (540 milioni di anni fa): questo straordinario artropode, che sembra l’incrocio tra una seppia e un gambero, è stato oggetto di dettagliati studi grazie all’incredibile livello di conservazione dei fossili.

Appartenente a un gruppo chiamato Radiodonta, che si differenziò molto durante il Cambriano e l’Ordoviciano arrivando a raggiungere dimensioni cospicue (probabilmente due metri di lunghezza nell’ordoviciano Aegirocassis), Anomalocaris era un temibile cacciatore nei mari paleozoici.

 

La storia della scoperta

La storia di Anomalocaris è un eccellente esempio di come il ritrovamento di numerosi fossili possa permettere non solo di capire le relazioni di parentela tra antichi organismi, ma anche le abitudini di vita e di alimentazione.

Fu descritto per la prima volta a partire da un paio di quelle che oggi sappiamo essere le sue appendici predatorie, rinvenute isolate e interpretate come “gamberi strani” (questo il significato del suo nome).

Tali appendici, posizionate sulla parte anteriore dell’animale, sono costituite da 14 segmenti (i podomeri), ciascuno dei quali ha una spina, in molti casi a tre punte, nella parte inferiore. Le appendici sono capaci di arrotolarsi e dovevano essere molto mobili.

Molti radiodonti associano simili appendici a una bocca rotonda armata di denti, che ricorda una ruota coi raggi, da cui il nome del gruppo, e a un corpo segmentato e dotato di “pinne” propulsive: ecco che, insieme alle considerevoli dimensioni di questi animali, che raggiungevano il mezzo metro di lunghezza, abbiamo i superpredatori dei mari cambriani.

 

Cosa mangiava Anomalocaris?

L’interpretazione più accettata finora era quella di un cacciatore di trilobiti, capace di fare a pezzi la potente corazza di questi artropodi grazie appunto alla bocca e alle appendici spinate. Tuttavia, già in passato alcuni studi avevano sollevato dubbi sulla capacità di questo radiodonte nel frantumare corazze consistenti come quelle dei trilobiti.

 

Punti di forza e di debolezza di un cacciatore efficace

La ricerca condotta da un gruppo internazionale capeggiato da Russell Bicknell, dell’Università del New England in Australia, ha cercato di studiare con un approccio multidisciplinare le abilità di Anomalocaris come predatore, usando come analoghi viventi due gruppi tanto affascinanti quanto poco conosciuti dal pubblico: gli uropigi e gli amblipigi (chi ha visto il film di fantascienza Starship Trooper ricorderà forse questi nomi).

Si tratta di due gruppi di aracnidi che in inglese hanno l’evocativo nome di “ragni a frusta” e “scorpioni a frusta”, dotati di zampe anteriori armate di spine e usate per catturare le prede.

Tramite software specializzati, il gruppo di ricerca ha effettuato simulazioni di movimento delle zampe di questi aracnidi e delle appendici di Anomalocaris, confermando le capacità predatrici dell’animale cambriano, ma dimostrando la sua incapacità di spezzare corazze pesanti come quelle dei trilobiti.

 

Il suo talento: il nuoto

Lo studio, pubblicato su Proceedings of the Royal Society, ha anche mostrato che le appendici di Anomalocaris potevano posizionarsi in modo da favorire il nuoto veloce dell’animale, e potevano “arrotolarsi”, ma non completamente, per evitare che le spine si spezzassero urtando tra di loro.

L’abilità di nuotare ad alta velocità, unita ai grandi occhi e alle appendici raptatorie, sembra quindi indicare che Anomalocaris cacciasse prede dal corpo molle, nuotando nella zona illuminata della colonna d’acqua.

Le conclusioni supportano anche l’incredibile varietà di strategie alimentari che i radiodonti misero in campo durante il Cambriano e l’Ordoviciano, aggiungendo nuovi tasselli alla nostra conoscenza di questo affascinante gruppo di antichi artropodi.

 

 

Immagine di copertina: copyright Junnn11 – Wikimedia

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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