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22 Ago 2017

Una simbiosi… a tutto gas

Marco Signore

Marco Signore
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Il 20 aprile 2010, nel Golfo del Messico iniziava il più grande disastro della storia nel campo delle aziende petrolifere: la piattaforma della BP Deepwater Horizon esplodeva uccidendo 11 lavoratori, ed il suo affondamento, due giorni dopo, scatenava una fuoriuscita di petrolio assolutamente devastante. Certo, non si può dire che gli esseri umani abbiano mai avuto particolare cura dell’ambiente, ma questo disastro senza precedenti è stato studiato in dettaglio, e tra le tante orribili conseguenze si è assistito ad una vera e propria fioritura di batteri del genere Cycloclasticus, che sono probabilmente gli unici organismi in grado di spezzare gli anelli aromatici degli idrocarburi per trarne nutrimento – una fonte di cibo che nessun altro essere vivente sembra poter condividere. Ma la Natura ci ha abituato ad incredibili imprese per assicurare la sopravvivenza delle specie, e così uno studio pubblicato su Nature Microbiology ci ha mostrato una nuova via “inventata” dagli animali per sopravvivere in un mondo in rapido cambiamento.

 

Vulcani di asfalto

Nel 2003 furono scoperti sempre nel Golfo del Messico (una delle zone oceaniche più studiate al mondo) i primi vulcani di asfalto, strutture che si formano in corrispondenza di risalite di asfalto, appunto, sul fondale marino. Attorno a questi vulcani prosperano comunità animali che hanno immediatamente attirato l’attenzione degli studiosi, perché gli idrocarburi non sono mai stati particolarmente appetibili per gli organismi viventi. Eppure, spugne e lamellibranchi (questi ultimi del genere Bathymodiolus, noto abitatore delle sorgenti idrotermali marine) sembravano prosperare senza problemi nella zona. È noto che Bathymodiolus vive in simbiosi con batteri chemioautotrofi, e quindi può utilizzare gli elementi chimici delle vent idrotermali per ottenere nutrimento tramite i suoi simbionti, quindi gli studiosi hanno immediatamente pensato ad una simbiosi, scoprendo però che il batterio simbionte stavolta era il nostro Cycloclasticus.

 

Per gli amici si cambia

Le analisi del genoma dei Cycloclasticus simbionti hanno tuttavia mostrato una peculiarità: i batteri che vivono in simbiosi con le spugne ed i bivalvi hanno perso la capacità di spezzare gli anelli policiclici, e si sono invece specializzati nel ricavare energia dagli alcani semplici (gli alcani sono composti non ciclici di carbonio e idrogeno: il metano è l’alcano più semplice esistente). Questa abilità è però condivisa da diversi altri organismi, e pare che Cycloclasticus possa “permettersi” di nutrirsi di materiale più accessibile ad altri solo perché vive in simbiosi con le spugne ed i bivalvi. La scoperta è particolare perché tutti gli studi precedenti indicavano che questi particolari batteri potevano utilizzare solo gli idrocarburi aromatici, mentre ora è stato possibile dimostrare che essi possono cambiare dieta, per così dire, in base a come vivono: i Cycloclasticus liberi continuano ad utilizzare gli idrocarburi policiclici, mentre quelli simbionti cambiano verso una dieta più accessibile perché probabilmente protetti dalla simbiosi stessa. Nuovi studi sono necessari per comprendere a fondo questa variazione, ma abbiamo un altro ottimo esempio della versatilità dei batteri e della vita stessa.

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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