Trent’anni fa, la notte del 26 aprile 1986, venne effettuato il più disastroso esperimento della storia. Durante un “test di sicurezza”, i tecnici della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, inanellarono una serie di errori che causarono un aumento incontrollato della potenza del reattore sino a farlo esplodere.
Trent’anni fa, la notte del 26 aprile 1986, venne effettuato il più disastroso esperimento della storia. Durante un “test di sicurezza”, i tecnici della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, inanellarono una serie di errori che causarono un aumento incontrollato della potenza del reattore sino a farlo esplodere.
Le autorità dell’Unione Sovietica cercarono di nascondere l’accaduto ma, in breve, la Natura s’incaricò di ridicolizzarli: i venti sparsero elementi radioattivi per migliaia di kilometri. Due giorni dopo, le autorità svedesi lanciarono l’allarme e l’Europa visse settimane da incubo. Quella convulsa notte, Viktor Bryukhanov, l’inetto direttore della centrale di Chernobyl (promosso per meriti politici a un compito molto più grande di lui), aveva assestato un colpo micidiale alla più grande nazione del mondo. Aveva dimostrato, in modo involontario ma straordinariamente efficace, che l’URSS era un esanime dinosauro.
L’industria nucleare oggi
Sono passati oltre sessant’anni dall’entrata in funzione del primo reattore nucleare civile, e il sogno di produrre quantità immense di elettricità a prezzi irrisori si è dissolto nel più colossale fiasco industriale, tecnologico e finanziario di tutti i tempi. L’industria nucleare è in agonia da decenni, colpita a morte dalla sua insostenibilità economica, dalla sua inestricabile complessità, dal legame ambiguo ma indissolubile con il nucleare militare (a Chernobyl si produceva anche plutonio per bombe), dalla sua molteplice vulnerabilità a eventi naturali catastrofici (Fukushima), problemi tecnici (Three Mile Island) o errori umani (Chernobyl).
Germania e Svizzera hanno pianificato l’uscita definitiva dal nucleare. Svezia e Stati Uniti hanno appena deciso di dismettere sei reattori che dovevano operare sino al 2035. L’impianto di terza generazione in costruzione in Finlandia è in ritardo di dieci anni e forse non partirà mai. In Cina, la produzione da fonti rinnovabili non idroelettriche ha già superato quella nucleare, come discusso di recente da Mathews e Tan in queste pagine. Il colosso industriale del settore, la francese Areva, è tecnicamente fallita: il suo catastrofico bilancio è stato preso in carico dallo Stato attraverso l’azienda elettrica EDF.
Il tunnel nucleare
Sono passati trent’anni, ma a Chernobyl si lavora ancora per mettere in sicurezza quel maledetto reattore. A Fukushima, dopo cinque anni, la situazione non è ancora sotto controllo; il conto del disastro ammonta sinora a 100 miliardi di dollari, ma è solo l’inizio. Non si trovano più investitori disposti a scommettere sul nucleare, poiché oggi vi sono due formidabili alternative immuni da rischio di eventi catastrofici o interruzione delle forniture di energia primaria: impianti eolici e solari. Inoltre, nessuna compagnia di assicurazione al mondo è disposta a coprire un’attività che, in caso di incidente, conduce direttamente alla bancarotta. Le centrali nucleari sono ancora in funzione grazie a una prodigiosa iniezione di denaro pubblico che dura da decenni, sciaguratamente distratta dallo sviluppo delle tecnologie rinnovabili. Eppure, paradossalmente, il nucleare oggi ha un grande futuro: entro i prossimi cinquant’anni dovrà iniziare lo smantellamento di tutti i 439 reattori sparsi per il mondo. Servono tecnologie, soldi e forza lavoro specializzata che, al momento, non ci sono. La Francia dovrà affrontare costi immensi per dismettere 54 reattori nucleari e quindi ha un futuro garantito come grande malato economico d’Europa. Un incubo più inquietante del terrorismo. È ancora molto lontana l’uscita dal tunnel in cui, inconsapevolmente, ci infilammo il 2 dicembre 1942 a Chicago, quando Enrico Fermi realizzò la fissione nucleare controllata. Sarà un viaggio lunghissimo e pieno di incognite. Un altro conto aperto con i nostri nipoti e pronipoti.
(editoriale dal numero di aprile 2016 della rivista Sapere)