Il prossimo 8 marzo si svolgerà, anche in Italia, lo sciopero globale delle donne contro discriminazioni e violenza sessiste. Lanciato dalle femministe polacche, poi dalle argentine, esso ha ricevuto finora l’adesione di una quarantina di Paesi: in Italia è stato promosso dalla rete “Non una di meno”.
Il prossimo 8 marzo si svolgerà, anche in Italia, lo sciopero globale delle donne contro discriminazioni e violenza sessiste. Lanciato dalle femministe polacche, poi dalle argentine, esso ha ricevuto finora l’adesione di una quarantina di Paesi: dall’Australia alla Bolivia, dal Brasile alla Corea del Sud, dall’Honduras alla Turchia, dalla Russia agli Stati Uniti…In Italia è stato promosso dalla rete “Non una di meno”, la stessa che ha reso possibili la grande manifestazione nazionale contro la violenza di genere, svoltasi a Roma il 26 novembre scorso, nonché l’assemblea successiva e quella di Bologna del 4-5 febbraio.
Nel nostro Paese, finalmente l’8 marzo sarà sottratto alla consueta, banale ritualità del “giorno delle mimose” cui s’era ridotto negli anni recenti, per riacquisire il valore di una giornata di protesta, rivendicazione, lotta su scala globale: contro la violenza sessista (punto centrale del programma, ben riassunto dallo slogan “La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne”), ma anche per l’effettività dei diritti, per l’aborto libero, sicuro e gratuito, per la libertà di movimento, contro il razzismo istituzionale, nonché “contro l’immaginario mediatico, misogino, sessista, razzista”.
Lo sciopero non sarà, certo, un evento simbolico, bensì un’assai concreta astensione dal lavoro riproduttivo e produttivo – nel settore pubblico come in quello privato – all’insegna dello slogan “Se le nostre vite non valgono, non produciamo” e con la partecipazione di svariate sigle del sindacalismo di base (delle tre grandi centrali sindacali solo la Flc-Cgil ha aderito).
Discriminazione nel lavoro
Esso assume un valore particolarmente pregnante nel nostro Paese, ove assai accentuata è la discriminazione di genere nel campo del lavoro e del diritto al lavoro. L’ultimo rapporto sul Global Gender Gap (2016) del World Economic Forum, vede l’Italia collocata al 50° posto su 144 Paesi, superata anche da Capo Verde, Ecuador, Trinidad e Tobago… A smentire cliché e stereotipi assai diffusi, tra i dieci Paesi che primeggiano per parità di genere (nei campi della salute, dell’istruzione, dell’economia, della rappresentanza politica) vi sono il Ruanda, le Filippine, il Nicaragua.
Alla base di un divario così marcato – tanto più vistoso per il fatto che siamo l’ottava economia a livello mondiale – c’è, per l’appunto, l’enorme disparità soprattutto nel campo dell’occupazione. In specifico, per disuguaglianza salariale il nostro Paese scende al 127mo posto. Le lavoratrici italiane, infatti, percepiscono mediamente il 30% in meno dei loro colleghi maschi. Tutto ciò è dovuto non solo alla crescente precarizzazione del lavoro, ma anche a una cultura assai diffusa che costringe tuttora le donne a scegliere tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo.
Violenza sessista
Se prendiamo in considerazione i dati relativi alla violenza maschile – tema che è al centro dello sciopero globale – essi mostrano che anche questa non è affatto frutto di arretratezza o rigurgito dell’arcaico, né anomalia della modernità avanzata o residuo di tradizioni retrive, destinate a dissolversi presto. Certo, dipende anche dalla sedimentazione di credenze, strutture, pregiudizi propri di sistemi patriarcali, ma è anzitutto strutturale e intrinseca all’ordine capitalistico più “avanzato”: niente affatto tale per il benessere e la vita delle donne.
Secondo gli ultimi dati disponibili (se pur non recenti), quelli di un’indagine dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea, svolta nel 2012 e pubblicata nel 2014, al vertice della triste classifica è (o almeno era allora) la Danimarca, con il 52% di donne che testimoniava di avere subìto violenza fisica o sessuale, seguita da Finlandia (47%), Svezia (46%), Paesi Bassi (45%), Francia e Regno Unito (entrambi al 44%). Questo dimostra che non sempre v’è un rapporto inversamente proporzionale tra conquista della parità e violenza sessista, se è vero che – almeno secondo il già citato rapporto sul Global Gender Gap – Finlandia, Norvegia e Svezia sono rispettivamente al secondo, terzo e quarto posto per parità di genere.
In conclusione, lo sciopero globale potrebbe contribuire a ricostruire una soggettività politica collettiva, consapevole della propria autonomia e determinazione: tale da riuscire almeno a “sabotare” il sistema di dominazione e appropriazione del genere femminile che chiamiamo sessismo.