Mario Draghi ha da poco presentato il suo programma di governo. A mio parere non ha deluso, coniugando la visione di un futuro che non sia ripristino del passato e la concretezza di obiettivi e strumenti per realizzarla. Forse è eccessivo riconoscere tutto questo in un discorso di cinquanta minuti, eppure le suggestioni positive ci sono. Non è solo un elenco di argomenti, è la loro concatenazione che appare convincente.
Scuola e Istruzione appaiono il fulcro di politiche che vogliano garantire a tutti l’accesso agli strumenti essenziali della conoscenza. Ciò non solo è giusto – e già basterebbe – ma, per metterla in termini economici, è vantaggioso per una collettività che voglia valorizzare le sue risorse umane e renderle protagoniste consapevoli nel mondo del lavoro in tutti i settori.
Ho apprezzato molto che Draghi ci abbia risparmiato l’elenco delle carenze e delle peggiori posizioni immancabilmente occupate dall’Italia per abbandono scolastico, numero di studenti, numero di laureati, numero di ricercatori, numero di docenti, precarietà delle strutture e delle persone. Eravamo abituati alla dolorosa sorpresa di ministri e parlamentari che sembravano scoprire improvvisamente queste decennali carenze, quasi non avessero governato loro stessi per anni.
I giovani ben formati alimenteranno le Università, e dovranno essere tanti, e non dovremo perdere i migliori studenti che diventeranno i professionisti e i ricercatori di un Paese finalmente avanzato. Insegnamento Universitario e Ricerca sono binomio indissolubile in un sistema sano di formazione superiore. Questa affermazione non appaia l’ennesima giaculatoria, è semplicemente vero.
Draghi, senza fronzoli, ha detto che si deve sviluppare la Ricerca di Base. Le Innovazioni Tecnologiche verranno. Sembra un percorso lungo e dispersivo? Ma è l’unico, non ci sono alternative. Basta ancora una volta guardarsi intorno. Verranno anche prodotte le ambite Eccellenze, ma saranno solide, radicate in un terreno che le alimenta con continuità, e le moltiplica.
Ministero della Transizione Ecologica: la scelta di Cingolani
È stato creato un Ministero per l’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare, un Superministero per la Transizione Ecologica su modello europeo, come viene descritto giornalisticamente. Benissimo, sarà anche più facile connettersi con le scelte degli altri Paesi.
In Italia esistono le competenze e le dotazioni strumentali necessarie, pubbliche e private, per partire bene, ma se questa scelta non è una risposta contingente alle emergenze, e rappresenta invece un’inversione di rotta per il governo del nostro Paese, è necessario che si rafforzi tutto il sistema dell’Istruzione e della Formazione. La base deve essere la più larga possibile.
Roberto Cingolani ha la grande responsabilità di attivare questa macchina finalizzata, come mai finora in Italia, alla Transizione Ecologica (ed è già positivo che non si chiami più ritualmente Sviluppo Tecnologico). È uno scienziato che sa bene, da protagonista, qual è il ruolo della ricerca scientifica come base dell’Innovazione. Ha una solida capacità ed esperienza di gestione della ricerca, a livello di elaborazione progettuale e di governo di grandi laboratori. Fin dai tempi di Tremonti, e ancora prima, ha dimostrato di avere proposte convincenti e di saper cogliere le finalità che ciascun ministero selezionava.
Si è tenuto in costante allenamento ed è stato adeguatamente incoraggiato da tutti i “policy maker” che si sono succeduti. Inutile elencarli, semplicemente tutti. Non trovo quindi sorprendente la sotterranea e sconveniente gara di partiti e movimenti ad appropriarsi di una paternità di cui nessuno si può fregiare.
Mi sono chiesto spesso: oltre alla lodevole volontà di lasciare il segno nello sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica cosa avevano in comune committenti così diversi per ispirazioni politiche, culturali, sociali? Forse una risposta me la sono data. Hanno ritenuto di poter aggirare il problema del declino della Scuola e dell’Università pensando di stimolarle con la creazione di Centri di Eccellenza (in definitiva, forse solo IIT). Questi centri, in pratica, oltre a sviluppare attività propria, hanno operato, con fondi pubblici, come agenzie di finanziamento con finalità e criteri di selezione autonomi rispetto a quelli adottati per i bandi di ricerca nazionali e internazionali. A volte, forse, si è corso il rischio di creare distorsioni rispetto a un equilibrato sviluppo delle conoscenze e del sapere nei vari settori. Tanto più che i canali di finanziamento ministeriali venivano spesso corrosi. In certe occasioni sono stati tanto concentrati che un singolo Centro di Eccellenza aveva a disposizione, da solo, un finanziamento superiore a quello destinato a tutte le discipline afferenti ai Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, i famosi PRIN. A volte si creavano avanzi di bilancio ai quali il Ministero sperava di poter attingere per rimpinguare i miseri finanziamenti nazionali.
Non c’è niente di male ad avere Centri di Eccellenza, ma in Germania e in Francia, spesso prese a modello, esistono “sistemi” di Centri di Eccellenza, non uno o pochi, e il quadro è totalmente diverso.
Il nuovo Ministro Cingolani ha le conoscenze scientifiche e tecnologiche, la forza e la determinazione non solo per guidare il suo Ministero, davvero strategico, ma anche per contribuire a reindirizzare le politiche per la Formazione e la Ricerca sui solidi pilastri della Scuola e dell’Università pubbliche per tutti, o almeno per molti più di quelli che oggi riescono ad accedervi. Lui, e i suoi successori, dovranno attingere a quelle risorse.
