La questione climatica ha – com’è giusto che sia – una esposizione mediatica considerevole. Meteo e clima, ancorché spesso confusi più o meno volontariamente dai distratti media generalisti, hanno rilievo e fanno notizia, evidenziando una sensibilità ormai diffusa.
La questione climatica però, pur così esposta, spesso è vista come un problema isolato, come se le responsabilità, tutte umane, siano in qualche modo percepite vagamente e – ancora una volta – solo per aspetti visibili come l’inquinamento prodotto dalla mobilità, in realtà minoritario, per emissioni di gas serra, rispetto ai settori industriali.
Tra questi la produzione (e l’uso) di energia è il più emissivo in assoluto, secondo quanto riportato dal World Resources Institute nel 2017.
La crisi energetica è inseparabile dal cambiamento climatico
Appare quindi assai curioso, nel dibattito pubblico, il fatto che si parli moltissimo di clima e molto poco di energia, se non nei ristretti circoli dei già interessati e sensibilizzati al tema: l’energia, come dicono in molti, “c’è ma non si vede” e soprattutto non fa notizia. Anzi, per certi aspetti sembra proprio di essere di fronte al classico iceberg dove, sotto una punta ben visibile (il clima appunto), si nasconde una montagna ben più consistente, fatta di un intricato sistema in cui cause ed effetti possono scorgersi solo cercando di cogliere il tutto con uno sguardo “olistico” e di reciproca relazione, come direbbero i filosofi.
Il tema è assai delicato e gli specialisti su questo dibattono da lungo tempo: come conciliare le esigenze sempre più energivore di un mondo sempre più densamente popolato con le indicazioni sempre più stringenti che, una conferenza sul clima dopo l’altra, imporrebbero limiti alle attività umane per la salvaguardia di quel “bene comune” immateriale ma fondamentale alla vita che è il clima?
Proprio perché la questione è delicata, l’approccio dovrebbe essere quanto meno “prudente”, mentre purtroppo il clima del dibattito è quasi sempre poco sereno e costellato di una serie di pregiudizi: se da un lato le istanze di un “ambientalismo idealista” (a là Greta Thunberg, sacrosanto che ci sia!) vorrebbero emissioni zero già domani, dall’altro questo desiderio rimane tale – anche se si cerca di declinarlo in un obiettivo perseguibile – nel momento in cui ci si rende conto che il mondo intero ancora oggi funziona per circa l’86% sui combustibili fossili (petrolio, gas, carbone). Andare dall’86% a zero “domani” è davvero molto molto difficile, per non dire impossibile. Da qui le grandi difficoltà verso una transizione energetica da condursi con tutti i crismi.
Un dibattito controverso
Interessante quindi la ripubblicazione di un testo, nella collana edita dal «Corriere della Sera» Vivere sostenibile, originariamente pubblicato dalla casa editrice il Mulino di Bologna: Energia e clima. L’altra faccia della medaglia, di Alberto Clô.
Approcciare il libro cercando di evitare ogni pregiudizio è un buon esercizio perché serve a capire molte cose, di sé, del libro e forse del suo autore che per primo invoca questa serenità che manca nel dibattito. Questa non è la sede per entrare nel dettaglio, ma posso assicurare di aver chiosato a matita ben bene i punti (non pochi) in cui l’auspice autore tradisce questo spirito di presunta serenità, apostrofando i climatologi come “sacerdoti” (come se gli economisti non lo fossero, per altro basandosi su quella “scienza” alquanto aleatoria che è l’economia), sorridendo tra le righe dei loro modelli quando si sono mostrati insufficienti – forse ignorando che, in quanto tali, i modelli non sono tenuti a rispecchiare la realtà ma solo a descriverne (e ad avere valore predittivo, laddove possibile) alcuni fenomeni salienti – e via lungo una china, talvolta sconcertante, di tesi sin troppo facilmente smontabili e in certi punti al limite della contraddittorietà interna. Perché se è vero, come è vero, che i numeri possono “essere piegati” a sostegno della propria tesi, qui si racconta solo metà della storia (quella che interessa), citando i riferimenti che la corroborano, che vanno per altro da magazine come «Newsweek», come fosse una rivista scientifica, ai report delle aziende petrolifere, evidentemente con interessi in gioco piuttosto evidenti.
Peccato! Un altro esempio da manuale di un’occasione persa – forse l’ennesima – per tentare di tracciare una via in cui invece sarebbe richiesta l’expertise di tutti, proprio a partire da quegli economisti che potrebbero guidare la transizione, visto che l’unico driver che si intravvede per “imporre” delle decisioni su vasta scala al giorno d’oggi è di tipo economico.