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29 Lug 2024

Gentlemen della Fisica (teorica)

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Ci sono episodi, per lo più sconosciuti, che meritano invece di essere messi in luce perché sono storie edificanti che vanno in controtendenza rispetto a quello che normalmente avviene in ambito lavorativo, e in questo, salvo qualche eccezione, il “fare scienza” non differisce molto da altri ambiti. La regola è quasi sempre la competizione, al posto della cooperazione e della collaborazione.

La storia che racconto oggi è uno di questi casi. Non solo: vedendo la storia raccontata dal diretto interessato, credo non si possa non pensare a un atteggiamento che ha un che di altri tempi, di cavalleresco.

 

Giovanni Jona-Lasinio e i suoi studi

Il protagonista è Giovanni Jona-Lasinio, intervistato dieci anni fa dalla collega Antonella Varaschin per la rivista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare «Asimmetrie» (numero 16, dal titolo 1964).

Parliamo di fisica teorica, quindi di teoria di gauge e di rottura (spontanea) di simmetria. Concetti fondamentalmente semplici, dalle feconde conseguenze, ma nello stesso tempo non banali proprio perché applicati a un settore della Fisica non propriamente tra i più intuitivi. Soprattutto: concetti che negli anni in cui questa storia è iniziata (1959) erano poco più che intuizioni per le quali la potente arma del formalismo matematico dava in molti casi risultati strampalati o di cui si aveva grande difficoltà a trovare un significato nel mondo fisico.

Jona-Lasinio, giovane ricercatore, decise di seguire le orme dello scienziato Yōichirō Nambu, dopo che quest’ultimo venne in Italia, a Roma, per un seminario. Nel settembre del 1959 il nostro porotagonosta partì alla volta di Chicago e con Nambu si misero subito al lavoro. In particolare, l’interesse che accomunava i due erano le possibili analogie tra la simmetria di gauge nella superconduttività e la simmetria chirale in fisica delle particelle. Nambu, in particolare, non era tanto interessato a migliorare o aggiornare la teoria della superconduttività, quanto piuttosto a una sua riformulazione secondo la teoria dei campi.

Una delle ipotesi della teoria delle interazioni deboli era che la simmetria chirale imponeva l’annullarsi della massa per le particelle che obbediscono alla statistica di Fermi. Questo in linea teorica, ma nella pratica le cose non andavano così ed era quindi necessario trovare il modo di eludere questo vincolo teorico. Jona-Lasinio e Nambu arrivarono quindi a ipotizzare un meccanismo – che battezzarono “meccanismo dinamico” – in cui interveniva proprio un’analogia con la superconduttività.

 

La collaborazione tra Jona-Lasinio e Nambu

I due ricercatori erano solo all’inizio perché andava costruito un modello (relativistico) che contemplasse tutto questo, pertanto partirono da un’equazione che Heisenberg andava propagandando con grande enfasi proprio in quel periodo, un’equazione secondo la quale si poteva ricavare l’esistenza di tutte le particelle. Il tentativo di riscriverla secondo la teoria dei campi però non aveva granché senso poiché non era rinormalizzabile, ma i due si accorsero che la teoria di Heisenberg, pur di difficile (se non impossibile) applicazione, conteneva idee interessanti, quali appunto quella di rottura spontanea di simmetria. Decisero quindi di tentare un trattamento della teoria ad hoc e un po’ brutale, immaginando un cut-off, un taglio delle energie in gioco.

Qui entra in gioco il primo – e importante – segno della collaborazione tra i due. Nambu era già, all’epoca, professore a Chicago e un giorno, anche per fare un test, si misero a fare un conto:

 

Nambu e io facemmo un conto, che oggi non è più di grande interesse ma che allora considerammo essenziale per capire se eravamo sulla buona strada. E ottenemmo risultati diversi. Tra l’altro, se il suo risultato era quello giusto, significava che forse l’analogia con la superconduttività non era da perseguire. Lo ripetemmo una seconda volta: idem. Alla terza mi manifestò la sua insoddisfazione, convinto che io sbagliassi. Io però ero sicuro dei miei conti e gli suggerii di applicare il teorema di de L’Hôpital, poiché si trattava di valutare la differenza di due diagrammi di Feynman divergenti: rifece il conto e ottenne il mio stesso risultato. “You won” – hai vinto – mi disse con tono non proprio contento. Ma da quel momento in poi ebbe fiducia nelle mie capacità.

 

Accadde quindi che il lavoro venne presentato ancora in fieri – e qui, sebbene involontariamente, vi fu un secondo test per il giovane Jona-Lasinio – a un congresso dove però Nambu non poté partecipare per motivi personali, in cui era presente il gotha della teoria dei campi e della superconduttività. Loro stavano presentando idee del tutto nuove. Andò bene, vi furono anzi incoraggiamenti a proseguire secondo le ipotesi formulate, ma lo stress, per ammissione del protagonista, fu molto.

 

Un’altra idea di Jona-Lasinio

C’è un altro aspetto, ex-post, che fece intuire a Jona-Lasinio che erano sulla buona strada. Poco prima di pubblicare l’articolo, questi volle aggiungere, proprio all’ultimo, una sezione che aveva chiamato “teoria fenomenologica”, con l’intento di capire, proprio sul piano dei fenomeni come il modello formulato potesse essere messo alla prova. Egli scrisse alcune equazioni e Nambu fu d’accordo nell’inserirle. Qualche anno dopo l’autore sentì Peter Higgs, durante un seminario dedicato al suo lavoro da Nobel, iniziare la sua esposizione proprio da quella sezione. In sostanza mancava loro un solo ingrediente per fare un lavoro come quello di Higgs, ma la scienza in questo è impietosa: per ogni vincente c’è un secondo posto e un terzo e così via. Erano lì, ma per stessa ammissione di Jona-Lasinio, erano concentrati su altro, e quindi, pur a un soffio, la storia ci racconta che sono arrivati secondi.

Una storia che però non finisce qui, anzi: nel 1961 Jona-Lasinio decide di tornare in Italia («sbagliando», secondo la sua stessa ammissione) e qui – nonostante il gruppo dei fisici che si occupavano di interazioni deboli – non vi fu, fuor di metafora, nessuna interazione, neppure debole: il giovane cervello “rientrato” ha continuato a occuparsi degli aspetti formali della teoria a cui aveva lavorato negli Stati Uniti, mentre gli altri si occupavano di altro.

Jona-Lasinio nell’intervista citata fa una velata critica a questo atteggiamento: in quegli anni, in quel settore della Fisica, c’era fermento e gli italiani non erano da meno rispetto ad altri gruppi. Se solo avessero unito un po’ di più le forze, se solo si fossero parlati di più, dice Jona-Lasinio, «l’unificazione elettrodebole forse avremmo potuto farla qua». La sensazione che rimane è, insomma, quella di un certo rammarico.

 

Jona-Lasinio e il premio Nobel mancato

Saltiamo qualche anno e arriviamo al 2008, quando Nambu prende il Nobel per la Fisica, proprio per la teoria alla quale entrambi hanno lavorato molti anni prima. Jona-Lasinio manda immediatamente un messaggio a Nambu per congratularsi, ma passano quindici giorni prima che questi risponda. E risponde dicendo che «la cosa lo ferisce», in particolare il fatto che il premio non sia stato assegnato anche al suo collega, visto che l’unica motivazione del Nobel era quel lavoro che avevano in comune. Jona-Lasinio dice, con grande onestà intellettuale, che in effetti l’idea originale è stata di Nambu, anche se poi l’avevano sviluppata insieme. La cosa sembra finire lì, ma qualche giorno dopo Nambu, per motivi familiari, rinuncia ad andare a Stoccolma per ritirare il premio e contestualmente propone a Jona-Lasinio di andarci lui. Proposta “curiosa” poiché se si è impossibilitati a ritirare il Nobel, si manda un video, una registrazione o in alternativa un testo che viene letto da qualcuno. Nambu però insiste che non vuole fare nessuna di queste cose ma vuole invece che sia Jona-Lasinio a ritirare il premio, lasciandogli per altro carta bianca su come impostare la prolusione al Nobel e tutto quel che segue.

Tutto ciò, racconta il protagonista, innervosì molto gli svedesi, i quali pensarono subito che l’italiano sarebbe andato lì per piantare casino, non avendo potuto condividere l’ambìto riconoscimento. Qui si torna nell’ambito della sociologia della scienza. O forse della sociologia tout court. Il Nobel, infatti, era stato assegnato a tre giapponesi e tre è il numero massimo di persone a cui può essere assegnato il premio. A Jona-Lasinio “sorvegliato speciale” viene “assegnato” un collega… giapponese per recarsi all’Accademia delle Scienze che, molto simpaticamente, gli confessa che non sa effettivamente perché lui gli debba stare appresso.

Ma torniamo alla questione di Nambu che manda Jona-Lasinio al posto suo. Come motivazione utilizza una malattia della moglie, “rincarando” la dose e arrivando a dire che quell’anno non andranno neppure in Giappone (mentre poi nemmeno un mese dopo vanno nel loro Paese d’origine). Jona-Lasinio confessa che, se Nambu gli avesse chiesto di andare a leggere un suo testo, forse gli avrebbe detto di no. Nambu invece dice allo scienziato italiano: «Do it in your own way», insomma: hai carta bianca. All’inizio della conferenza Jona-Lasinio lo riferisce all’uditorio, che scoppia in una sommessa risata perché il messaggio verso gli svedesi è abbastanza chiaro. Per correttezza e, possiamo dire, anche per quel senso di amicizia che tra i due senz’altro c’è, Jona-Lasinio invia le slide della presentazione a Nambu il quale gli risponde che «non avrebbe saputo fare meglio».

 

Conclusioni

I Nobel, come tutte le istituzioni umane, non sono “infallibili” e conta molto, secondo Jona-Lasinio, anche l’aspetto della lobby, del saper tessere cordate di persone che siano capaci di rappresentare, in questo delicato settore, i propri scienziati. Qui come altrove ci sono diverse influenze e, al netto della validità di una scoperta, di una ricerca, un peso ce l’hanno anche questi aspetti.

Jona-Lasinio non usa mezze parole: «come Italia non contiamo niente». Il rimpianto è per il Nobel mancato, non tanto per sé (anche se di sicuro il rammarico c’è), quanto per il collega Nicola Cabibbo. Un raro, ci sembra, esempio di gentlemen che forse non esistono più, perché oggi si pensa troppo spesso alla quantità delle pubblicazioni, più che alla loro qualità. Nel mondo di qualche anno fa, invece, ancora era una virtù, per esempio, pubblicare poco e manifestare una serie di interessi «curiosity driven», come direbbero gli inglesi, dettati da semplice curiosità. Un mondo che forse dovremmo essere capaci di vedere come un obiettivo per il futuro anziché come qualcosa che appartiene al passato.

 

Immagine di copertina: Prolineserver – Wikimedia Commons.

Luciano Celi
Luciano Celi
Luciano Celi ha conseguito una laurea in Filosofia della Scienza, un master in giornalismo scientifico presso la SISSA di Trieste e un secondo master di I livello in tecnologie internet. Prima di vincere il concorso all'Istituto per i Processi Chimico-Fisici al CNR di Pisa, ha fondato con Daniele Gouthier una piccola casa editrice di divulgazione scientifica. Nel quinquennio 2012-2016 ha coordinato il comitato «Areaperta» (http://www.areaperta.pi.cnr.it), che si occupa delle iniziative di divulgazione scientifica per l'Area della Ricerca di Pisa ed è autore, insieme ad Anna Vaccarelli, della trasmissione radio «Aula 40» (http://radioaula40.cnr.it/). Nel giugno 2019 ha discusso la tesi di dottorato in Ingegneria Energetica.
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