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15 Mag 2020

La dura lezione del Coronavirus: il compromesso tra vivere e lavorare

Sergio De Carli

Sergio De Carli
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L’emergenza del Coronavirus ha evidenziato la necessità per la politica di “utilizzare” la competenza (anche scientifica), e per la scienza di continuare a fare ricerca, con umiltà. Ripetute sono state, tra gli scienziati, affermazioni come «conosciamo ancora troppo poco il virus», «lo stiamo studiando», anche di fronte a giornalisti tanto esigenti quanto digiuni di conoscenze scientifiche.
L’analisi del contesto italiano – suonerà banale – ha portato a due constatazioni: gli scarsi investimenti (non solo pubblici, ma anche pubblici) nella ricerca, la sua centralità riconosciuta dalla Costituzione [art. 9, 33 e 34].
Ora, dopo il durissimo lockdown, si inizia a parlare di ripartenza, e anche in questo caso è emersa l’esigenza della competenza scientifica, con uno spostamento di atteggiamento, però. Se prima – sotto la pressione dell’emergenza e del crescere iperbolico di domande di terapie intensive – la richiesta sembrava un’implorazione su come fare a salvarsi, ora si chiede che la sicurezza indicata dagli scienziati non contrasti con l’esigenza di ridare fiato all’economia.
È il contrasto tra economia e vita, o tra lavoro per mangiare e salute per vivere. Quale delle due viene prima?
Secondo me, per un corretto approccio alla questione, è necessario porre al centro la persona, che ha bisogno di vivere e lavorare. Seguendo la logica dell’et…et si deve giungere a un “compromesso” nel senso alto del termine, ben lontano dall’utilizzo fatto troppo spesso dalla politica. Non si tratta di decidere quale delle due prospettive debba prevalere, ma di cercare un punto d’incontro che le valorizzi entrambe, con ciascuna delle due che accetta di non sentirsi unico assoluto.
Qui l’unico assoluto è la persona, che deve vivere e, per vivere, anche lavorare. Capisco che in un tempo caratterizzato dall’autoreferenzialità, possa essere difficile accettare la condivisione di prospettive per vivere meglio. Ma uno dei “guadagni” – e uso questo termine con timore e tremore, perché fondato sul dolore di questi mesi – del tempo che abbiamo vissuto è la presa di coscienza che siamo differenti e distanti, e solo insieme (et…et) possiamo edificare il futuro.
Proprio in questa direzione diviene fondamentale ridare fiato (e finanziamenti…) alla scuola, quel luogo nel quale contribuire all’educazione e alla formazione di coscienze libere e autonome, responsabili perché capaci di far valere i diritti insieme con i doveri.
Non a caso, la parte prima della Costituzione italiana è dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”. Dove studiarli e sperimentarli mentre si è ancora in giovanissima età, se non a scuola? Dove trovare l’entusiasmo per la scoperta, per la conoscenza, per il sapere (anche scientifico), utilizzando gli strumenti prodotti dalla tecnica proprio come strumenti, e quindi senza riservare ad essi poteri taumaturgici, che poco si confanno a scienza e tecnologia? Lo stesso vale per la didattica.

Sergio De Carli
Sergio De Carli
Sergio De Carli, laureato in Filosofia con tesi in Storia delle religioni, ha insegnato religione nelle medie superiori italiane e svizzere e Abilità relazionali e Formazione al dialogo interreligioso presso l’Università di Urbino per alcuni anni. Ha pubblicato un paio di libri di testo di religione cattolica. Giornalista pubblicista, ha pubblicato diversi articoli e saggi e diretto la rivista “Orientamenti” di cultura e formazione politica.
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