Skip to main content

25 Lug 2023

La volpe e il futuro: riflessioni sull’IA

Home Rubriche L'opinione

La tecnologia scrive libri, ma è brava a farlo?

Questa riflessione nasce dal fatto che una cara amica ha una piccola attività editoriale e fa dei bellissimi libri per bambini.

Leggendo da qualche parte – non ricordo più neppure dove – le «magnifiche sorti e progressive» dell’intelligenza artificiale, ho scoperto che una tra le tante possibili applicazioni è quella di scrivere e illustrare, appunto, libri per bambini. L’articolo, libro o post che fosse, indicava espressamente un titolo a mo’ di esempio: La volpe e il futuro.

Così ho deciso provocatoriamente di acquistare una copia del libriccino illustrato che descriveva i progressi di questo controverso settore per farne dono all’amica: pare insomma che, come neppure troppi anni fa i robot hanno di fatto sostituito gli operai nelle fabbriche, oggi tocchi anche al resto degli esseri umani, quelli che fanno lavori “di concetto”, venir sostituiti senza troppi complimenti, anche in un settore altamente creativo e, se vogliamo, “educativo” come lo è immaginare e poi scrivere libri per bambini.

Il regalo vuole essere provocatorio, ma neppure troppo: attenzione, amica cara, che anche in questo settore noi umani rischiamo di essere “superflui”.

Poi il libriccino che ho ancora qui con me l’ho anche letto, e se questi però sono i risultati, mi pare che di “educativo” – almeno fin qui – queste operazioni editoriali abbiano ancora ben poco. Anzi, mi verrebbe da dire: l’esatto contrario.

 

Il robot può sostituire l’uomo (o l’orso in questo caso)?

La storiella, assai semplice, è presto detta: orso Peppe e Saki la volpe sono amici e vivono in un bellissimo e incontaminato bosco, che si chiama Bosco Alto. Orso Peppe “lavora” in sostanza raccogliendo il miele e vendendolo agli altri abitanti del bosco ma, dedicandosi a questa attività, ha poco tempo per giocare con Saki.

Pur sorvolando sulla connotazione mercantilistica che stona un po’ nel magico bosco incantato, Saki, che è una volpe intelligente, decide di tentare una soluzione al problema costruendo un robot che aiuti, o meglio sostituisca, orso Peppe in questa onerosa attività di raccolta del miele. Orso Peppe, memore forse di qualche lontana eco umana, teme però che il robot possa rubargli il lavoro: manifesta questa sua perplessità a Saki che, essendo una volpe intelligente, propone il quesito a Sabio, il corvo più saggio del bosco. E qui corvo Sabio come risponderà?

Il mondo incantato somiglia molto al mondo teorico di una certa sociologia quasi fantascientifica nella quale l’umanità, finalmente affrancata dai bisogni materiali cui provvederanno robot di ogni specie, si libera da queste catene per dedicarsi definitivamente ad attività che la renderanno più perfetta di quanto già non è – ricordate R.U.R. di Karel Čapek? Sembra che la storia, raccontata un secolo fa, continui a ripetersi oggi.

La risposta è quindi rassicurante: che orso Peppe non si preoccupi, perché il robot sarà solo un valido aiuto che libererà il suo tempo per permettergli di fare ciò che preferisce! E cosa preferisce fare orso Peppe, dopo aver constatato che il diligente robot raccoglie il miele meglio di quanto lo raccolga lui? Si dedica al marketing! Ma certo, che sciocchi a non averci pensato! In effetti, orso Peppe ci confessa che alla fine gli sarebbe sempre piaciuto disegnare etichette più accattivanti – la parola “accattivante” è proprio pronunciata da orso Peppe – e realizzare confezioni più belle per vendere più miele.

Che il proto-capitalismo abbia inizio anche nell’insospettabile bosco incantato (così che quando diventa capitalismo tout court il bosco ne verrà fagocitato)!

Insomma, l’operazione riesce: Sandra la giraffa, cliente abituale, si complimenta con orso Peppe e acquista due confezioni di miele… ma non ci è dato sapere se prima dell’operazione di marketing ne acquistasse una sola.

 

La morale della favola: la tecnologia non deve far paura

In subordine, ma solo in subordine, torna la questione iniziale che ha dato avvio alla storia: orso Peppe trova a questo punto anche il tempo per giocare con la sua amica volpe Saki, ma prima che il gioco riprenda, Saki guarda il corvo, che dall’alto del suo ramo sentenzia, saggio: «È stato un piacere aiutarvi, ragazzi. Ricordate, la tecnologia può essere una grande risorsa, se usata nel modo giusto».

E, se ancora non fosse sufficiente, l’ultima vignetta esplicita del tutto la morale: «Orso Peppe e Saki hanno imparato che non dovremmo avere paura della tecnologia, perché può aiutarci a vivere meglio e a dedicarci alle cose che ci piacciono. E così, con l’aiuto del robot e della saggezza di corvo Sabio, hanno trascorso molti altri felici giorni nel Bosco Alto».

 

Dipendiamo troppo della tecnologia? L’esempio del navigatore satellitare…

Insomma, a conti fatti pare che la morale non sia diversa da quanto tutti abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, vale a dire: la tecnologia funziona talmente bene che ne siamo diventati completamente dipendenti e, in media, siamo diventati del tutto acritici nei suoi confronti. Per verificarne la nostra dipendenza dobbiamo essere sempre pronti a fare l’esperimento mentale di farne a meno: se quella tecnologia non ci fosse, me la caverei?

Facciamo un esempio semplice, tratto dalla vita quotidiana: a chi non è successo, tra le innumerevoli volte in cui ha usato il navigatore satellitare di cui è ormai dotato ogni smartphone, di perdersi grazie a questo dispositivo? O di trovarsi a fare strade assurde basate su algoritmi che, magari preimpostati, ci sono ignoti?

Mi si dirà: certo, è un piccolo prezzo da pagare rispetto alle molte volte in cui siamo arrivati a destinazione a colpo sicuro. D’accordo, ma in molti (troppi) casi accendere il navigatore significa spegnere il cervello e lasciarsi guidare senza neppure capire che strade si stanno facendo. L’obiettivo è la destinazione e di tutto quello che c’è in mezzo (e a volte in mezzo c’è molto) non importa più niente a nessuno: conta solo la strada che è necessario fare per andare dal punto A al punto B e il tempo impiegato per andare da A a B.

Sarà che ho sempre sognato di fronte alle carte geografiche e alle strade possibili per arrivare nei posti, ma la percezione è di aver perso qualcosa (insieme ovviamente alla privacy di dove sto andando – ma non voglio toccare questo argomento, altrimenti servirebbe ben più di un articolo sul web).

E quindi, per fare la prova del nove: me la caverei se quella tecnologia all’improvviso non fosse più disponibile? Riuscirei comunque ad arrivare a destinazione? La tecnologia diventa una sorta di “fede” e alla tecnologia si demandano responsabilità che fino a ieri erano esclusivamente nostre.

 

… e l’esempio della guida autonoma

Ancora un esempio, tratto sempre dalla mobilità: c’è una tendenza ormai acclarata a sviluppare veicoli che vanno verso la guida autonoma. Nel transitorio che ci condurrà al punto finale, stiamo vivendo delle fasi intermedie (guida autonoma nei diversi gradi).

Ho avuto occasione di guidare auto già dotate di sistemi per cui l’auto “vede” ciò che ha di fronte grazie a un radar, “urla e strilla” (e frena in automatico!) se ci si avvicina troppo all’auto davanti (dispositivo anticollisione) e via lungo la china delle meraviglie di ciò che gradualmente e “attivamente” si sostituirà a noi.

Ma cosa succede nella realtà di tutti i giorni (ed è una realtà che vedo come possono vedere molti utenti della strada – io con la particolarità di muovermi spesso su due ruote)? Succede che nel Paese dove il malcostume regna sovrano, le persone stanno al cellulare o/e guardano lo schermo “touch” della propria auto anziché guardare la strada che, in effetti, è più noiosa, soprattutto se si fanno spesso gli stessi tragitti.

L’implicita autorizzazione al malcostume deriva dalla tecnologia: siccome ho il dispositivo anticollisione e il cruise control adattivo, mi sento autorizzato a guardare il cellulare, a rispondere ai messaggi e a fare tutto fuorché guidare, che sarebbe la cosa che invece bisogna fare realmente quando si sta sulla strada con un volante in mano. Tanto a sbattere non ci vado: ci pensa l’anticollisione! Già, ma l’anticollisione non è (ancora) in grado di prevedere proprio tutti i casi possibili e forse tenersi attivi e procrastinare ad altri momenti l’uso del cellulare sarebbe, almeno come prassi, più corretto.

 

“Credere” nella tecnologia: un problema di fede

Chiara Valerio ha scritto un ottimo libriccino anche su questo, proprio dal programmatico titolo “La tecnologia è religione”.

La sinossi, tratta da un brano che vi si trova all’interno, sembra che dica quel che c’è da dire molto meglio e molto più succintamente di quanto io riesca a fare: «Siamo tutti abituati all’esperienza di premere un tasto e vedere qualcosa accadere. Il verbo della scienza è provare, quello di tecnologia e religione è credere. La religione si interessa della salvezza dell’anima nei cieli e la tecnologia della conservazione dei dati nel cloud».

Il problema è proprio quello della fede, per la quale sembrano non esistere mezze misure: o si crede o non si crede. Qui, a una prima occhiata, sembra un po’ lo stesso: alla tecnologia si “aderisce” o la si rigetta.

Ma esistono sfumature intermedie e lo si comprende solo se si sviluppa un senso critico, come, per tornare all’argomento iniziale dell’intelligenza artificiale, sembra aver fatto uno dei “padrini” dell’IA, Geoffrey Hinton. Di un paio di mesi fa la notizia di essersi licenziato da Google per poter parlare dei pericoli insiti nelle intelligenze artificiali.

Ai posteri l’ardua sentenza.

 

Luciano Celi
Luciano Celi
Luciano Celi ha conseguito una laurea in Filosofia della Scienza, un master in giornalismo scientifico presso la SISSA di Trieste e un secondo master di I livello in tecnologie internet. Prima di vincere il concorso all'Istituto per i Processi Chimico-Fisici al CNR di Pisa, ha fondato con Daniele Gouthier una piccola casa editrice di divulgazione scientifica. Nel quinquennio 2012-2016 ha coordinato il comitato «Areaperta» (http://www.areaperta.pi.cnr.it), che si occupa delle iniziative di divulgazione scientifica per l'Area della Ricerca di Pisa ed è autore, insieme ad Anna Vaccarelli, della trasmissione radio «Aula 40» (http://radioaula40.cnr.it/). Nel giugno 2019 ha discusso la tesi di dottorato in Ingegneria Energetica.
DELLO STESSO AUTORE

© 2024 Edizioni Dedalo. Tutti i diritti riservati. P.IVA 02507120729