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29 Set 2021

Le trappole del progresso

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Qualcuno, ma non ricordo chi, ha sostenuto che il patto col diavolo l’abbiamo fatto, come umanità, non tanto con il denaro, ma con l’energia. E, se si guarda a grafici come questo qui sotto, sembrerebbe proprio di sì. Qui sono riportate, sull’asse delle ordinate di sinistra (in blu), il consumo globale di energia primaria (in esajoule) e, sull’asse di destra (in rosso), la crescita della popolazione mondiale; sull’ascissa il tempo*.

 

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Questo grafico ci suggerisce, soprattutto, di non confondere le cause con gli effetti: la popolazione mondiale è cresciuta grazie alla sempre maggiore disponibilità energetica (ho sentito talvolta qualcuno dire il contrario…). La seconda cosa che il grafico suggerisce è che le due linee cominciano a impennarsi, guarda caso, proprio quando il petrolio entra in scena: la curva dei consumi non sale così rapida (ricordiamo che tra 1900 e 1950 ci sono state anche due guerre mondiali e la penultima pandemia, quella di Spagnola), ma tra il 1950 e il 2000 c’è di nuovo un bell’avvicinamento con la pendenza che sale, nel frattempo, vertiginosamente.
Ora, è quasi inutile ricordarlo, ma giova farlo: a oggi oltre l’80% del fabbisogno energetico mondiale viene soddisfatto ancora dai combustibili fossili (carbone, gas e petrolio) che sono anche tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico in atto. E in questo modo la prima “trappola” è servita.

 

La trappola della mobilità

Della seconda “trappola” si è parlato in un’interessante trasmissione televisiva – Presa diretta – che, nella puntata del 20 settembre sera, ha evidenziato gli sforzi che si stanno facendo per uscire da questa prima trappola, almeno relativamente a uno dei problemi che affliggono il “primo” mondo: quello della mobilità. Sforzi che, se non si presta attenzione, ci fanno finire dritti in una trappola, appunto: la ricerca e l’escavazione di materie prime (facilmente) esauribili, come le “terre rare” (già solo il loro esotico nome basterebbe…) e altri elementi (litio, cobalto) che, pur presenti sulla tavola periodica degli elementi, sono scarsamente rappresentati sul pianeta, e laddove lo sono, sono difficili da estrarre e hanno impatti ambientali enormi per distruzione e inquinamento, senza contare lo sforzo energetico – ancora con combustibili fossili? – da mettere in atto per la realizzazione di queste miniere.
Insomma: se già le risorse rinnovabili, come per esempio il pesce dei mari e degli oceani, rischiano di non rinnovarsi più se l’intensità di prelievo è troppo elevata, figuriamoci per quei minerali certamente non rinnovabili che, pur alla base di una transizione energetica necessaria, possono senz’altro non definire una transizione ecologica.

 

Il “green mining” è un ossimoro?

 

Le immagini delle miniere industriali che si vedono nella trasmissione sono raccapriccianti (così come lo sono quelle dei pozzi petroliferi o, peggio, quelli davvero desolanti delle tar sands, le sabbie bituminose da cui si tenta di estrarre ancora petrolio…) e fanno a botte con le parole sulle bocche degli intervistati: si parla anche di “green mining”, miniere verdi, un concetto che francamente trovo un po’ difficile da immaginare.
In sede di Unione Europea non è che le cose vadano meglio. Allo scopo di “combattere” la dipendenza da queste materie prime da altri continenti (Africa, sotto il predominio cinese, e Asia, con Cina ai vertici assoluti nel settore) è stata creata la European Battery Alliance, sotto la direzione del vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič. L’alleanza raggruppa oltre 600 tra aziende chimiche, automobilistiche e del settore energetico, oltre alle rappresentanze degli Stati membri dell’Unione. Šefčovič, intervistato dal giornalista di Presa diretta, parla di una specie di rivoluzione copernicana da quando l’alleanza si è costituita nel 2017: dall’1% di produzione mondiale di batterie – mentre le case automobilistiche si stavano ancora chiedendo se l’auto elettrica fosse davvero il futuro – si è passati a investimenti da 60 miliardi nel settore delle batterie (più del triplo di quanto investe la Cina), mettendo l’Europa al primo posto (per investimenti). Poi offre un dato: con i progetti di estrazione del litio in Spagna, Portogallo, Francia e Repubblica Ceca, dice che sarebbe possibile soddisfare il fabbisogno europeo per l’80% già nel 2025. Il dato viene smentito da un ricercatore ISPRA, Luca Demicheli, pochi minuti dopo, ma l’obiezione del giornalista all’interno dell’intervista è un’altra e riguarda le perplessità che sembrano arrivare dai manager dei più importanti gruppi automobilistici: questa nuova industria ha un enorme impatto ambientale e non è stata trovata nessuna soluzione a questo. In sostanza si rischia semplicemente di spostare il problema dell’inquinamento invece di ridurlo. Di fronte a questo “problemino” però Šefčovič dice che basterà dotare di “passaporto” tutte le batterie europee, un passaporto che ne garantisce “l’etica costruttiva” e la “sostenibilità”. D’altra parte se “vogliamo vendere auto ai millenials” (parole sue) qualcosa bisognerà pur distruggere (completiamo noi), no?
Invece no. Di fronte alla non sostenibilità dell’escavazione mineraria Šefčovič risponde: «È vero che in passato sono stati fatti molti errori nel settore minerario, ma proprio per questo abbiamo creato, già quest’anno, un tavolo sull’estrazione etica e sostenibile che stenderà dei principi molto chiari, che chiunque voglia rifornire le industrie delle automobili europee dovrà rispettare».
L’estrazione etica e sostenibile come “green mining” però suona alle mie orecchie letteralmente come un ossimoro, non ci posso proprio fare niente. Per carità: sappiamo che “moglie ubriaca” e “botte piena” non si possono avere entrambe, ma qui l’impressione è che anche chi è ai vertici – stiamo parlando del vicepresidente della Commissione Europea, non esattamente del primo venditore di auto sotto casa – non abbia proprio appreso (o voluto apprendere) nessuna lezione dal passato.
Comunque pare la strada sia tracciata: ormai si va verso la mobilità elettrica globale se è vero, come è vero, che in Europa a partire dal 2035 non sarà più possibile vendere automobili benzina o diesel. I grandi gruppi sono ormai nel pieno di questi investimenti e di questa rivoluzione che – come evidenziato anche nella trasmissione (e meno male) – dovrebbe passare anche (mi verrebbe da dire: soprattutto) da un diverso uso dell’auto, vista sempre meno come mezzo proprio e sempre più come mezzo condiviso.

 

La transizione che ancora non c’è

In questa transizione energetica – pur con tutti i limiti descritti – posso dire di averci creduto: nel 2019 ho installato un impianto da 6kW picco sul tetto di casa, con delle batterie di accumulo grazie alle quali sono quasi indipendente dalla rete e quest’anno abbiamo rivoluzionato la mobilità familiare vendendo la vecchia auto “da lunghi viaggi” (che, grazie al Covid, non abbiamo più fatto) e rottamando quella da città per avere gli ecoincentivi con la quale abbia acquistato un’auto completamente elettrica (sempre da città). L’autonomia è quel che è, ma ci si sente comunque un po’ pionieri, scontando però sulla propria pelle questo pionierismo. Pur vivendo infatti nella civilissima Toscana non sembra che l’amministrazione di Pisa, città nella quale vivo, abbia particolarmente a cuore il problema. A partire dalle possibili agevolazioni – tipicamente: accesso alla ZTL della città, parcheggio gratuito su strisce blu (ormai la maggior parte) – che non sono previste, fino ad arrivare ai punti di rifornimento che, avanti sui tempi, furono installati in diverse zone cittadine quando ancora le auto elettriche erano forse dei prototipi. Adesso sono obsolete perché nella maggior parte dei casi i connettori non sono più compatibili, la app per il cellulare risulta alquanto farraginosa e le colonnine sono spesso posizionate in luoghi da tortura, tipicamente in posti dove non c’è un filo d’ombra (e quest’estate, con 40 gradi, non è stato proprio il massimo del comfort fare prove ed esperimenti per vedere se qualcosa funzionasse). Incredibilmente, per un periodo (che però sembra essere già miserabilmente finito) ci è venuto in soccorso il privato: una nota catena di supermercati aveva nel suo parcheggio una colonnina gratuita a cui abbiamo più volte fatto il pieno (o quasi) facendo la spesa. Ma altri, come noi, hanno avuto la stessa idea, e spesso anche qui si sta in coda, nella considerazione che le ricariche non si fanno in 5 minuti.
Ma non volevamo caricare a casa? Beh certo: è la classica quadratura del cerchio e di solito, soprattutto con la bella stagione, si è fatto, ma le giornate si accorciano e mia moglie usa l’auto per andare a scuola tutti i giorni. Le ricariche diventano più frequenti e soprattutto le si può fare dalle 14 in poi, al rientro a casa. Allora abbiamo fatto due conti semplici: la batteria è da 22 kWh (e non arriva mai a zero) e quella che paghiamo col Servizio elettrico nazionale è una tariffa bioraria da 0,13 €/kWh di giorno che diventano 0,11 di notte. Così, anche se buttiamo a terra gli accumulatori (l’inverter prima fa scaricare le batterie e poi preleva dalla rete), abbiamo cominciato a caricare anche la notte: se dovessimo caricarla tutta per avere i 200 e spiccioli km di autonomia (reali), spenderemmo alla fine poco meno di due euro e mezzo e si va comunque quasi in giro gratis – certamente molto più conveniente di qualunque forma di combustione “a fossili”.
L’unico rammarico è quando si guarda la bolletta, che comunque offre informazioni anche sul mix energetico con il quale si produce l’elettricità che ci arriva a casa. Qui di seguito i grafici per comprendere cosa consumiamo in realtà quando consumiamo elettricità. I segnali sono incoraggianti, ma la transizione deve ancora arrivare, purtroppo.

 

2Figura 1: Composizione del mix energetico relativo all’approvvigionamento del mercato di maggior tutela nel 2018 e 2019 (come pubblicato da Acquirente Unico in data 28 ottobre 2020 ai sensi del decreto MISE del 31/07/2009).

 

 

3Figura 2: Composizione del mix medio nazionale utilizzato per la produzione dell’energia elettrica immessa nel sistema elettrico italiano nel 2018 e 2019 (come pubblicato da GSE in data 28 ottobre 2020 ai sensi del decreto MISE del 31/07/2009).

 

 

* Per chi fosse interessato ai dati: quelli sulla popolazione mondiale provengono dal sito web delle Nazioni Unite, mentre, per quanto riguarda il consumo globale di energia primaria, i dati provengono dal libro di V. Smil, Energy transitions: global and national perspectives, Praeger, 2017, Appendice A, pp. 240-241.

Luciano Celi
Luciano Celi
Luciano Celi ha conseguito una laurea in Filosofia della Scienza, un master in giornalismo scientifico presso la SISSA di Trieste e un secondo master di I livello in tecnologie internet. Prima di vincere il concorso all'Istituto per i Processi Chimico-Fisici al CNR di Pisa, ha fondato con Daniele Gouthier una piccola casa editrice di divulgazione scientifica. Nel quinquennio 2012-2016 ha coordinato il comitato «Areaperta» (http://www.areaperta.pi.cnr.it), che si occupa delle iniziative di divulgazione scientifica per l'Area della Ricerca di Pisa ed è autore, insieme ad Anna Vaccarelli, della trasmissione radio «Aula 40» (http://radioaula40.cnr.it/). Nel giugno 2019 ha discusso la tesi di dottorato in Ingegneria Energetica.
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