Di scuola si parla ogni giorno. Per fortuna. Però male, mi sembra, perché lo si fa in modo riduttivo e nostalgico (del modo economicistico non dico, dato che di costi immediati e altri pesi economici si parla di continuo). E manca qualcosa di essenziale. E persiste un cieco accanimento.
Il modo riduttivo di parlare di scuola
Le discussioni attorno al mondo scolastico sono soprattutto quantitative e guardano alle perdite rispetto al recente passato, pre-pandemia. Peccato che questo passato non fosse proprio glorioso, né così breve, dati gli splendidi fallimenti nella didattica della matematica dal 1923 in poi: un secolo.
Il rischio è che le perdite, vissute, diventino nostalgia, che acceca emotivamente e rivaluta la mediocrità e i fallimenti precedenti, traghettandoli inalterati nel futuro.
È vero che questi tempi ci hanno insegnato che abbiamo perso molto, ma quanto e cosa non è ben chiaro.
Certo è che la (già povera) didattica si è impoverita con la distanza: le persone, diventate ectoplasmi su uno schermo, hanno perso l’intesa “da vicino”, le (reciproche) inflessioni e gestualità, soprattutto quella fine del viso e delle mani. È andata persa la comunicazione attraverso gli oggetti, dalla lavagna alla carta, la matita, il righello, il compasso, il dito che indica e tocca…
Non parliamo poi del libro, sostituito da pagine inviate tramite internet, attraverso i siti delle scuole. O rimpiazzato senza pietà, dematerializzandolo in ectoplasmi di libri senza spessore, inconsistenti e volatili, non esplorabili come territori, nei cosiddetti corsi di scienze applicate.
Pensate all’effetto che avrebbe, dalla culla alla prima elementare, la sostituzione di giocattoli tattili e pesanti, di orsetti, di palloni, di sport, con le loro rappresentazioni virtuali in un tablet, facendo vivere l’esserino in un mondo assolutamente falso e falsificabile, in stato di grave deprivazione sensoriale, con la scrittura ridotta a scivolare su un vetro…
Di conseguenza, con un forte abbandono della realtà fisica primaria e il massiccio passaggio al virtuale, l’imitazione – stimolo globale e complesso (vorrà dire qualcosa se gli artisti del tardo Medioevo e del Rinascimento andavano “a bottega” per imparare dai Maestri… soprattutto per imitazione) – si è ridotta ad ascolto e occhiate superficiali o poco più. Guardare è fissare lo sguardo, non è saper vedere.
Il metodo Nuffield (fare ricerche) – gloriosamente adottato dalla casa editrice Zanichelli negli anni ’80 del Novecento, ma poi abbandonato – aveva come motto:
Se ascolto, dimentico
Se vedo, ricordo
Se faccio, capisco.
Ecco: il fare è perso, vedere è ridotto, ascoltare è l’ultima spiaggia. Dopo l’ascolto, l’oblio. In matematica vedere è soprattutto geometria, con le sue dimostrazioni, che sono forme di rispetto per l’interlocutore, cui si danno le ragioni di quanto affermato, quindi sono forme ed esempi di democrazia dell’argomentare: affermare senza dimostrare è categorico e autoritario, dunque incivile (si pensi alle schiere di haters in rete).
E infatti la geometria langue.
Così come langue l’insegnamento del disegno geometrico da cui la geometria nasce e di cui si alimenta, perché ne è la parte fisico-sperimentale.
E gli “esperti” del momento – come nel secolo precedente – parlano di immissione in ruolo dei precari, di concorsi per reclutare subito, di sfoltimento delle classi, di ritocchi(ni) economici, di potenziamento… Enorme spazio per la quantità, piccoli e vaghi accenni alla qualità*.
Il modo nostalgico di pensare alla scuola
Vogliamo tornare a scuola…
Ah, la presenza, i compagni e le compagne…
I nostri ex allievi…
Torniamo ai livelli precedenti, ai mondi perduti della didattica in presenza…
….
Continuate voi adesso, perché io mi fermo qui, con un solo fatto certo: negli allievi ho constatato, a parità di età, un ritardo cognitivo e culturale di 6-12 mesi, rispetto ai coetanei di due-tre anni fa… un ritardo di circa un anno scolastico.
Cosa manca alla scuola oggi?
Manca qualcosa di essenziale: manca la qualità della didattica della matematica alle superiori (e non solo). E persiste un cieco accanimento. Perché, nella didattica della matematica, quello che si tace è molto più di quello che si dice. Chi ha già capito e insegna quasi sempre ha dimenticato le proprie difficoltà di studente, le illusioni, le delusioni, i fallimenti, raggiungendo la rigidità confortevole di chi ha acquisito certezze: tutto sembra così logico (a volte ovvio) che, se l’allievo non capisce, deve per forza essere negligente o stupido, magari gli si dice che ha sbagliato tipo di scuola.
Così la matematica diventa perfino un inappropriato test di intelligenza!
Le difficoltà (vissute) non sono solo intellettuali, ritenute neutre, ma soprattutto emotive: perché non capire è un fallimento, un dolore a volte insopportabile a cui gli studenti quasi sempre sfuggono, evitandolo**.
Così inizia il circolo vizioso: più fallisco meno studio, meno studio più fallisco.
E fioriscono rigidità e accanimento da una parte (a scelta), trucchi e bugie dall’altra (a scelta), in un continuo confronto a tre fra insegnanti, allievi, famiglie, in cui incolparsi, discolparsi, diffamarsi o insultarsi è la regola.
La didattica deve profondamente cambiare
Deve far affiancare le persone (sia docenti che studenti) prima di giudicarle. Occorre fare della didattica la socratica arte della maieutica (quella della levatrice), che ascolta e stimola, fa nascere l’idea, non la impone.
L’umanità si è evoluta solo perché ha sviluppato legami sociali, basati soprattutto sull’affiancamento, l’ascolto, la collaborazione. Ecco perché io, docente, ho affiancato ogni mio allievo, non l’ho sostituito.
E lo spiegavo: non posso dormire il tuo sonno, respirare il tuo respiro, tossire la tua tosse e tanto meno pensare i tuoi pensieri. Quelli sono tuoi, tuo è il merito, tue le prove che affronti, bene o male. Io ti affianco, creando occasioni per la tua comprensione.
Lo vedo, sai, quando capisci: perché tu sorridi.
Deve cambiare qualità, la didattica: senza, qui avrò solo ricordato futuri fallimenti.
* Si veda, per esempio, il recente articolo di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, su “la Repubblica” del 24 maggio 2021, che alla qualità della didattica dedica solo tre righe alla fine dell’articolo. https://bit.ly/3wLHTSi
** Un’ottima lettura, al riguardo, è ”L’ora di lezione” di Massimo Recalcati (Einaudi).