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08 Mar 2021

Un 8 marzo pluralista e internazionale

Annamaria Rivera

Annamaria Rivera
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Questo 8 marzo è caratterizzato ovunque dallo sciopero femminista e trans-femminista: in Italia proposto e organizzato, in particolare, dal movimento Non Una Di Meno, con un appello raccolto anche da svariati sindacati di base. Sarà uno sciopero generale della produzione e della riproduzione, ma anche del consumo e soprattutto dei ruoli sociali imposti dalla cosiddetta appartenenza di genere.

 

Femminicidi e scarsa parità di genere

La pandemia da Covid-19 lo rende ancor più pregnante, per molteplici ragioni. Anzitutto, il 2020 è stato non solo l’anno dell’esordio e dello sviluppo della pandemia, ma anche – e forse conseguentemente – quello in cui in Italia l’incidenza delle vittime femminili sul totale degli omicidi è stata del 40,6%, vale a dire la più alta di sempre. Dei 91 femminicidi registrati l’anno scorso, ben 81 sono stati commessi nell’ambito delle relazioni di prossimità: di questi, 51 ad opera del partner della vittima.
Quanto alla parità di genere, anch’essa è nel nostro Paese assai debole, a dir poco: secondo il Global Gender Gap Report 2020, realizzato dal World Economic Forum, l’Italia occupa oggi il 76° posto su 153 Paesi, sta, cioè, fra la Thailandia e il Suriname: un posto infimo, se si considera che al primo v’è l’Islanda, seguita da Norvegia, Finlandia e Svezia, e al quinto v’è il Nicaragua, seguito da Nuova Zelanda, Irlanda, Spagna, Rwanda e Germania.
Per quel che riguarda il tasso di occupazione femminile, il nostro Paese si colloca al terz’ultimo posto, precedendo solo la Turchia, la Macedonia del Nord e la Grecia. A caratterizzare l’Italia v’è anche un rilevante divario salariale fra uomini e donne, a parità di livello e di mansioni. Tutto ciò è dovuto non solo alla crescente precarizzazione del lavoro, ma anche a una cultura assai diffusa che costringe tuttora le donne a scegliere tra lavoro produttivo e lavoro domestico e di cura.

 

Il femminismo e le sfide della pluralità

Per inquadrare tutto ciò in uno schema teorico, sia pure assai sintetico, conviene sottolineare che il nucleo centrale del pensiero femminista risiede nell’aver mostrato che l’intero ordine
sociale funziona – per dirlo con la formula di Pierre Bourdieu – “come un’immensa macchina simbolica tendente a ratificare il dominio maschile su cui è fondato” (Il dominio maschile, 1998). Il femminismo è stato ed è tuttora anche critica del modello capitalistico-liberale e denuncia del suo falso universalismo: astratto e particolare, fondato su una monocultura per la quale la vera umanità sarebbe bianca, maschile, occidentale.
Di fronte alle sfide della pluralità – per origini, provenienze, nazionalità, culture – che ormai caratterizza le società europee, grazie alla presenza crescente di persone migranti e rifugiate – la gran parte del movimento femminista ha saputo sottrarsi alla vulgata che vede il mondo degli altri/e come una congerie di arcaismi, integralismi, oppressione femminile. E ha saputo denunciare il rischio d’indulgere alla razzializzazione del sessismo: cioè a quella retorica che attribuisce alla componente maschile dell’immigrazione il monopolio del dominio e della violenza sessisti e alla sua componente femminile la prerogativa della sottomissione e dell’oppressione di genere.
In realtà, stupri, femminicidi e altre violenze di genere sono trasversali alle classi e agli ambienti sociali, alle culture e alle origini nazionali. Insomma, la discriminazione, l’oppressione e la violenza contro le donne provengono non da oscure viscere primordiali e arcaiche, ma da un ben definito sistema di dominio patriarcale che perdura, si adatta e si adegua anche alla modernità più avanzata.
Per concludere: la sfida che impongono tanto il femminismo quanto il pluralismo culturale è come trovare terreni nuovi d’incontro e mediazione. Per superare l’universalismo astratto e particolare, occorre immaginare un modello di universalità concreta. Esso può nascere solo dall’integrazione dei punti di vista, dei bisogni e dei diritti delle donne. Un tale modello può maturare, soprattutto, attraverso incontri e pratiche sociali, rivendicazioni e lotte che vedano l’alleanza e la solidarietà attiva fra native e migranti, nonché fra le donne occidentali e quelle di altre aree del mondo.

Annamaria Rivera
Annamaria Rivera
Annamaria Rivera, già docente di Etnologia e Antropologia sociale nell’Università di Bari, è antropologa, saggista, scrittrice, blogger ed è stata o è tuttora collaboratrice di testate quali il manifesto, MicroMega, Comune-info. Fra le tante sue opere: Razzismo (Dedalo, Bari 2020);  La città dei gatti (Dedalo, Bari 2016); Il fuoco della rivolta (Dedalo, Bari 2012); L’imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave (con R. Gallissot e M. Kilani, Dedalo, Bari 2012); La Bella, La Bestia e l’umano (Ediesse, Roma 2010); Les dérives de l’universalisme (La Découverte, Paris 2010); Regole e roghi (Dedalo, Bari 2009); La guerra dei simboli (Dedalo, Bari 2005); Estranei e nemici (DeriveApprodi, Roma 2003). È anche autrice di un romanzo: Spelix (Dedalo, Bari 2010).
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