Nelle ultime settimane un’associazione di produttori salentini (“La Voce dell’Ulivo”) ha fatto balzare agli onori della cronaca le evidenze di manifesta resistenza al disseccamento provocato dal batterio Xylella fastidiosa di alcune varietà di olivo tra cui, in particolare, il Leccino, il cui contrasto con le due cultivar autoctone diviene sempre più evidente man mano che la situazione si aggrava.
Nelle ultime settimane un’associazione di produttori salentini (“La Voce dell’Ulivo”) ha fatto balzare agli onori della cronaca le evidenze di manifesta resistenza al disseccamento provocato dal batterio Xylella fastidiosa di alcune varietà di olivo tra cui, in particolare, il Leccino, il cui contrasto con le due cultivar autoctone diviene sempre più evidente man mano che la situazione si aggrava.
Analisi incoraggianti
E’ tuttavia una questione di cui si parla già da oltre un anno, quando i ricercatori impegnati nello studio dell’epidemia di Xylella (dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR, dell’Università di Bari e del Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in Agricoltura “Basile Caramia”) hanno cominciato a osservare una promettente tolleranza della cultivar Leccino (e in misura minore anche di altre varietà) alla sua infezione. Tra gli altri, è stata presentata una apposita comunicazione al Simposio Internazionale sulla Xylella tenutosi a Gallipoli lo scorso ottobre, dove è stata segnalata la possibile resistenza o tolleranza della cultivar Leccino (e, in misura minore, anche di qualche altra varietà) che, allevato nelle stesse condizioni di Ogliarola e Cellina, sembra attaccato in forma molto più lieve, sia come frequenza che gravità dei disseccamenti.
Queste considerazioni non si basano solo su osservazioni visive, ma trovano un conforto anche dal punto di vista analitico. Infatti mediante analisi quantitative (PCR quantitativa) i ricercatori hanno rilevato differenze significative nella concentrazione del batterio, molto più elevata nelle due cultivar autoctone rispetto al Leccino. Sulla base di questi dati preliminari incoraggianti gli stessi ricercatori hanno avviato studi di trascrittomica (studio dei profili di espressione dei geni di leccino infetto confrontato con quelli di ogliarola infetta) ed è stata già prodotta una libreria di RNA messaggeri, attualmente in avanzata fase di elaborazione.
Una resistenza genetica?
Il crescente contrasto tra il vigore del leccino e il progressivo aggravarsi delle cultivar autoctone sta ridimensionando il timore che l’apparente tolleranza fosse solo un fatto temporaneo, facendo invece accrescere la speranza di una vera e propria resistenza genetica. Si tratterebbe di una scoperta non di poco conto, che oltretutto servirebbe ad argomentare le richieste di rimozione del divieto di impianto attualmente previsto dalla decisione comunitaria nell’area di insediamento.
In ogni caso, queste osservazioni giustificano l’esigenza e l’opportunità di avviare quanto prima un programma organico di screening del germoplasma di olivo che non sia limitato alle poche cultivar presenti nel Salento ma esteso alle cultivar rappresentative dell’intera variabilità genetica della specie.
Donato Boscia, Istituto per la Protezione delle Piante del CNR
[Immagine: credit Giancarlo Dessi]