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29 Apr 2021

Storia del beagle Bruno e l’importanza della genetica canina

Odette Abramovich

Odette Abramovich
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Abbaiare è un diritto. Lo ha stabilito qualche anno fa un giudice di pace trentino a cui ha fatto eco il tribunale di Lanciano. La storica sentenza stabilisce che «i cani hanno tutto il diritto di abbaiare, specie se qualcuno o qualcosa si avvicina al loro territorio». È un’estensione della libertà di espressione tutelata dalla nostra Costituzione. La legge è uguale per tutti, a prescindere dalla specie.

Come il cittadino sapiens, anche i quadrupedi non devono oltrepassare «la soglia di tollerabilità stabilita nel codice». Parafrasando Martin Luther King, la libertà canina di abbaiare finisce dove inizia la libertà di dormire del vicino del terzo piano. Facile a dirsi quando non si ha a che fare con un beagle.

 

La storia del beagle Bruno

Bruno è un campione di razza. Lunghe orecchie, occhietto simpatico e in moto perpetuo. Il guaio è che abbaia. Quanto? Tanto. Se è solo in casa, latra che tremano le pareti. I vicini lo hanno ribattezzato Decibel. Un’occhiata al processo di selezione e la spiegazione non richiede poi un grande sforzo. I beagle sono cani da muta, nati cioè per cacciare in gruppo. Durante le battute, se un esemplare si smarrisce, conta sul suo ululato per ricongiungersi con il branco. Ritrovare gli altri beagle significa sopravvivere. Lineare, vero? Vallo a spiegare a migliaia di proprietari di beagle scelti per la routine in appartamento… Una vita scandita dalle micro separazioni della quotidianità.
Se abitate un condominio in cui è presente un chiassoso beagle, tenetevi forte. Ciò che sto per rivelare vi precipiterà nello sconforto. Giorno dopo giorno, quel cane trova conferma che ululando a perdifiato compia la scelta migliore. Non è forse vero che dopo interminabili ore di abbaiate vede il gruppo ricongiungersi? Se funziona, perché smettere?
Contattata quando ormai i rapporti di buon vicinato avevano raggiunto livelli da guerra fredda, mi spettava l’arduo compito di convincere Bruno che i suoi proprietari avrebbero comunque fatto ritorno a casa alla fine della giornata lavorativa. L’opera di persuasione era disperata.

 

Le caratteristiche di razza? Determinanti per la scelta

Per i cinofili il pelo corto e la taglia ideale collocano la razza beagle sul podio dei pet scelti per la vita metropolitana. E pazienza se si accumulano denunce per disturbo della quiete pubblica…
Ma davvero possono ignorare quale storia stia dietro il compagno di viaggio? Le scelte fondate sulla conoscenza sono sempre vincenti. Prima di adottare un cane occorre approfondire le caratteristiche di razza. Domandarsi se siano compatibili con il proprio stile di vita.
Troppo spesso si decide su presupposti sbagliati. Sull’onda emotiva scatenata da un film, per esempio. Si pensi all’invasione di akita inu tra il 2009 e il 2010. Dopo il successo della pellicola Hachiko – Il tuo migliore amico, si accese la corsa all’acquisto dell’inseparabile cane. Ma se sul grande schermo l’akita è campione di bontà e fedeltà, capace di attraversare un lutto lungo una vita, nella realtà è un orgoglioso cacciatore, guardiano e guerriero.
Fu selezionato per predare cervi, cinghiali e orsi nel nord del Giappone. Successivamente accompagnò i samurai in battaglia e fu posto a difesa delle proprietà degli shōgun. Non proprio un criceto. Un curriculum non consultato dalla coppia di mansueti pensionati modenesi che mi contattò ormai sottomessa a un akita, preferito a un volpino per colpa del film.

 

Il cane assomiglia al padrone?

Oltre al fattore cinefilo, nella scelta del pet assume grande rilievo anche l’esigenza di trovare una sorta di alter ego a quattro zampe. Avete notato? L’essere umano è vittima della tentazione proiettiva. Quante volte mi sono imbattuta in barboncini con il collare di perle identico al girocollo della proprietaria! Per non parlare dei pitbull che esibivano poco raccomandabili borchie che facevano pendant con i minacciosi tatuaggi dei padroni.
Si pensi anche ai lupi cecoslovacchi. Impossibile ultimamente non accorgersi di quanti passeggino per i centri urbani. Qual è l’identikit del proprietario del lupo cecoslovacco? Uomo o donna apparentemente infelice della reclusione forzata in appartamenti angusti e alle prese con ritmi di lavoro forsennati. Si direbbero nostalgici di una libertà perduta. Un profilo perfetto per accogliere il cane geneticamente più vicino al lupo selvatico, vero?  Una razza – ancora diffidente rispetto agli esseri umani – che avrebbe bisogno di silenzi, spazi, natura e che, invece, condanniamo a vivere in centri urbani complessi, affollati, talvolta perfino senza parchi.
Costa fatica rispettare l’altro (sia questi un amico, un marito o appunto un cane) per ciò che è. Molto più semplice relazionarsi per la mera soddisfazione dei propri bisogni. In troppi bussano alle porte degli allevamenti con l’aspettativa di trovare conferme affettive, di scorgere il salvatore dei propri figli o di pescare il surrogato di relazioni insoddisfacenti. Ma se impostiamo le scelte adottive sulla soddisfazione di necessità esclusivamente umane, che poco o nulla contemplano l’essenza canina, non dobbiamo stupirci che le convivenze diventino un inferno.

 

Quanto conta la genetica?

Quando il cane si manifesta per quello che è, iniziano le note dolenti: il sogno si infrange, il cane diviene un problema, si corre ai ripari. È il momento del veterinario esperto in comportamento.
Si arrendono i proprietari estenuati dai jack russell, incontenibili se lasciati liberi e aggressivi se suona il campanello. Issa bandiera bianca il possessore di lupo cecoslovacco morso al ritorno da un viaggio di lavoro e con cinquanta punti di sutura sull’avambraccio. A quel punto si allargano le braccia e si lancia un sos al comportamentalista. Ma la verità è che questi spiacevoli episodi li andiamo a cercare.
Quando un esemplare di lupo uscito dal branco vuole reinserirsi deve ottenere il permesso. Questi gruppi sono dinamici dal punto di vista delle relazioni. In assenza del leader, l’animale scambia naturalmente i ruoli. Un comportamento che sarebbe stato prevedibile ed evitabile con il corretto lavoro educativo sul cucciolo. Invece al povero cane è toccata la segnalazione all’Asl come mordace.
Quanto al jack russell, non siamo certamente al cospetto di una creatura dispettosa per indole. A livello genetico parliamo di un cane da tana, selezionato cioè per uccidere volpi e tassi, nemici giurati dei proprietari delle fattorie. Il jack russell è un cane dalle zampe brevilinee, che si sposta con maestria nei cunicoli sotterranei, ingaggiando le prede selvatiche in combattimenti con lo scopo di stanarle e permettere al cacciatore di finire il lavoro. Siamo noi che storicamente li abbiamo selezionati testardi e coraggiosi. Li abbiamo voluti così e ora storciamo il naso?
Come se non bastasse, consci che nel loro girovagare sotterraneo per tane buie potevano non ritrovare la via d’uscita, gli abbiamo insegnato ad abbaiare insistentemente per consentire al cacciatore di individuarli e trarli in salvo. Suvvia, come possiamo ora sorprenderci che il nostro minuto jack russell sia un testardo senza pari?

 

Mettersi nei panni dell’amico a quattro zampe

Bruno era il baritono dei cani da muta. Per centinaia di anni la sua stirpe era stata apprezzata proprio per la voce potente. Al termine di una battuta di caccia, anche la più caotica, bastava tendere l’orecchio per ritrovare i beagle momentaneamente dispersi. Il bisnonno di Bruno, appartenente alla ricca aristocrazia terriera inglese, non poteva certo immaginare che suo nipote sarebbe finito in un monolocale della Bolognina.
I suoi padroni, se proprio dovevano prendere un esemplare di razza e non (preferibilmente) un animale dal canile, ne avrebbero dovuto prima studiare lo stile di vita. Accompagnati da un esperto, avrebbero potuto farsi guidare in una visita pre-adottiva. Avrebbero imparato come in ogni razza prevalgano specifiche motivazioni e quanto queste siano fondamentali nella determinazione del carattere. Avrebbero imparato che la diversità, se conosciuta, può remare a favore di una convivenza felice. Quando ciò non avviene, lo spettro della ri-adozione è sempre dietro l’angolo. Trovare una nuova famiglia che per ragioni ambientali, culturali e temporali consenta finalmente al cane di trovare la propria dimensione felice. Proprio ciò che accadde a Bruno in arte Decibel.

Odette Abramovich
Odette Abramovich
Odette Abramovich Terol è medico veterinario esperto in comportamento. Scrive per Repubblicasalute.it. Esercita nell’ambito della riabilitazione comportamentale degli animali da compagnia e come veterinaria esperta in interventi assistiti con gli animali (IAA). Nel 2016 ha vinto il Premio Flambo, Etica Cultura Scienza e Sport. Per l’Ospedale Veterinario Gregorio VII di Roma è stata responsabile del settore di medicina comportamentale per cani e gatti. Spagnola, ma adottata dalla città di Bologna, si è laureata a Madrid e a Parma ha conseguito il master in medicina comportamentale cognitivo-zooantropologica. Mamma di due bambini, è autrice di libri e giochi nell’ambito della pet education.Per saperne di più: www.odetteabramovich.it   /   www.facebook.com/MondoOdette
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